Non c’è stata l’unanimità (vista l’astensione di Austria e Olanda e il voto contrario dell’Ungheria), ma alla fine i ministri dell’Energia dell’Ue, a maggioranza qualificata, sono riusciti a trovare un accordo sul price cap al gas inseguito da alcuni mesi. Le condizioni previste, però, rischiano di rendere poco utile questa misura per cui l’Italia tanto si è battuta e tanto ha esultato nella serata di lunedì.



«In primo luogo – ci dice Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia -, il price cap entrerà in vigore il 15 febbraio, mentre l’emergenza che stiamo affrontando è in atto da mesi. Inoltre, va ricordato, come ha evidenziato l’Arera, che le bollette restano comunque elevate. Parliamoci chiaro: se il prezzo del gas stazionasse tra i 150 e i 170 euro MW/h, al di sotto quindi del tetto fissato, le bollette sarebbero più alte rispetto a quelle attuali che sono già insostenibili. Il price cap, quindi, non difende i consumatori».



Se guardiamo a quanto avvenuto nel corso dell’anno, il gas ha superato i 180 MW/h in estate, quando c’è stata la corsa a riempire gli stoccaggi. Il price cap potrebbe, quindi, scattare nel 2023 in quel periodo e rivelarsi utile?

C’è da dubitarne. In primo luogo, perché i Paesi fornitori potrebbe anche decidere di non vendere il gas rispettando un tetto al prezzo fissato da un compratore. In secondo luogo, sono state poste delle condizioni che potrebbero portare a una sospensione automatica del price cap proprio nella fase in cui c’è bisogno di riempire gli stoccaggi.



Di che condizioni si tratta?
Da quanto sta emergendo sembra che sia stata prevista una disattivazione automatica del price cap in caso di difficoltà negli approvvigionamenti anche di un solo Paese membro o se ci dovesse essere una significativa riduzione delle importazioni di gas, compreso il GNL, o ancora se la domanda dovesse crescere del 15% in un mese o del 10% per due mesi. Di fatto, quindi, se l’offerta diventasse insufficiente rispetto alla domanda o se quest’ultima aumentasse sensibilmente, cosa non improbabile quando si vogliono riempire in fretta gli stoccaggi, il price cap verrebbe disattivato. E non è tutto, perché il mercato è più furbo della politica.

Cosa intende dire?

Che si possono provocare brusche oscillazioni sul mercato, facendo salire il prezzo oltre i 180 MW/h per due soli giorni, così da non far scattare il cap, ottenendo comunque dei profitti interessanti. Va anche ricordato che poiché il prezzo del gas deve essere superiore di 35 euro a quello del GNL, se quest’ultimo si trovasse a 170 euro, allora il tetto non sarebbe più a 180, ma a 205 euro MW/h.

La Russia ha protestato contro la decisione europea e secondo qualche giornale non avrebbe comunque acquirenti alternativi all’Ue per il suo gas. È così?

Assolutamente no, Mosca ha già iniziato ad applicare piani di diversificazione per quanto riguarda le esportazioni. Tra l’altro ormai di gas russo in Europa ne arriva ben poco. Sicuramente ci sta perdendo qualcosa, ma la Russia con i suoi idrocarburi continua a riempire le casse statali. Credo occorra fare attenzione perché il price cap non riguarda solo la Russia e rischia di destabilizzare la politica di approvvigionamento in Medio Oriente e in Africa.

In che modo?

Il tetto sarebbe valido per tutti i fornitori, quindi, per fare un esempio, l’Algeria non potrebbe venderci il gas a un prezzo superiore. E se si rifiutasse di farlo? Potremmo impuntarci e mettere a rischio i rapporti bilaterali quando siamo noi a non poter fare a meno del gas? Forse è per questo che sono state previste le clausole di sospensione per il price cap, così da farlo “sparire” nel momento in cui creasse problemi con le forniture. È ovvio che tutto questo non sarebbe molto serio e non gioverebbe all’immagine dell’Europa.

A questo punto per l’Europa diventa ancora più importante avere buoni rapporti con i fornitori, ma Doha ha già minacciato ritorsioni sulle forniture di gas viste le conseguenze dello scandalo Qatargate.

Nei primi 10 mesi di quest’anno sono arrivati in Europa dal Qatar 12,5 miliardi di metri cubi di gas, di cui oltre la metà in Italia tramite il rigassificatore di Rovigo, gestito da Adriatic LNG di cui Qatar Energy è secondo azionista con il 22%. Quindi, Doha è molto importante per i nostri approvvigionamenti. È singolare che il rapporto con un fornitore così strategico possa essere messo a rischio per un’inchiesta che deve arrivare ancora a delle conclusioni precise: si perseguano i colpevoli, ma non si incrinino a priori i rapporti con un Paese così importante. Sembra quasi che ci sia l’interesse di qualcuno in Europa per una politica energetica che guardi non al Medio Oriente e all’Africa, ma da qualche altra parte.

Verso gli Stati Uniti?

Non si capisce bene ancora chi sia, ma all’interno del gruppo europeo c’è qualcuno che propende per approvvigionamenti diversi da quelli verso cui sta andando la politica italiana, come di altri Stati membri, ovvero il Medio Oriente e l’Africa.

Quanto rischia l’Italia nel caso le minacce di ritorsioni da parte del Qatar diventassero realtà?

Abbiamo sempre avuto buoni rapporti con il Qatar, che è stato tra i primi Paesi cui l’Italia si è rivolta in primavera per avere forniture aggiuntive. Ed entro l’anno prossimo è previsto un aumento oltre i 10 miliardi di metri cubi dagli attuali 6,5 che arrivano tramite l’Adriatic LNG. Si figuri cosa potrebbe accadere se Doha venisse meno a questi accordi. Non va poi dimenticato che l’Eni è entrata a far parte del Progetto Nordh Field East, un enorme giacimento che si stima possa valere da solo il 10% delle riserve mondiali di GNL.

(Lorenzo Torrisi)

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