Caro direttore,
solo la senatrice a vita Liliana Segre e il sovrintendente Dominique Meyer (con poche parole fuori programma sull’autonomia artistica del canto lirico), hanno rappezzato una prima della Scala che sembrava a forte rischio d’immagine per la sorprendente tempesta scatenata alla vigilia dal sindaco di Milano Beppe Sala fra le mura del palco d’onore. In giornate in cui un mantra politico-mediatico ruota drammaticamente attorno all’educazione degli italiani, Sala ha finito per esibire – forse al di là delle intenzioni – un livello di educazione civico-istituzionale come minimo discutibile. E a poco sembra essere bastato un “caffè della pace” con il presidente del Senato, il milanese Ignazio La Russa, che era parso a un certo punto additato come “persona non grata”. Non è stata cancellata l’impressione che il sindaco possa aver in qualche modo perseverato.
Già nel Sant’Ambrogio 2022 vi fu chi parlò di strumentalizzazione politica, quando – alla presenza d’esordio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni – Sala aveva contrapposto un invito in corsa per la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, corredato dall’esecuzione (inusuale e discutibile) dell’inno europeo a fianco di quello italiano.
Un anno fa alla Scala c’era il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: che nel 2023 ha invece disertato dopo molti anni la prima milanese (e ha diritto che non gli si chieda il perché, così come lo ha la Meloni, lei pure assente). Invece a Sala – presidente della Fondazione Scala in quanto sindaco – sembra lecito chiedere del polverone sollevato alla vigilia del Don Carlos.
Lui – padrone di casa istituzionale – è parso quasi minacciare La Russa di lasciarlo solo sul palco, andando a “protestare” in platea accanto alla senatrice Segre; oppure vicino a rappresentanti dell’Anpi o della Cgil (solo un passo virtuale al di qua del tradizionale presidio antagonista in Piazza della Scala: che di suo non ha mai mancato di contestare – democraticamente – le prime del sindaco Sala o dei suoi predecessori).
La Russa (esponente di FdI) non può chiaramente piacere a Sala, rieletto due anni fa a capo di una piccola lista personale di orientamento ambientalista, con l’appoggio del Pd. Ma anche La Russa è stato appena rieletto (in un voto politico più partecipato di quello amministrativo di Milano 2021), nelle fila del partito che risultando il primo guida oggi l’esecutivo del Paese. Il senatore è stato successivamente eletto presidente a Palazzo Madama, sempre a maggioranza democratica della sua aula parlamentare. È stato designato a quella che la Costituzione repubblicana identifica come la seconda carica dello Stato: è La Russa – piaccia o no a chiunque – il sostituto istituzionale di Mattarella, nei limiti previsti dalla Carta. Nessun altro: neppure la senatrice Segre, non eletta e nominata personalmente da Mattarella in virtù di un potere residuato da una monarchia morta con il regime fascista. Potere che è ora la maggioranza di centrodestra a voler abrogare, allineando anche in questo l’Italia alle democrazie occidentali. Il Pd si è sempre ben guardato dal farlo.
La motivazione della “ribellione” – almeno apparente – andata in scena l’altroieri sarebbe in ogni caso la denuncia di un “fascismo mai rinnegato da La Russa”. Sul piano personale e politico appare certamente un argomento di pronto uso: anche quando risulta frusto, trascorsi ormai 80 anni dal 25 luglio (e soprattutto dopo un recente decennio di potere del centrosinistra mai pienamente legittimato dal voto democratico). Ricorrervi in una dinamica prevalentemente istituzionale appare d’altronde più insidioso che discutibile.
Nella sua vita pubblica La Russa ha giurato più volte su una Costituzione che vieta espressamente ogni forma di ricostituzione del partito fascista. E non risulta sia mai stato mai denunciato o indagato per quest’ipotesi di reato. Se Sala è convinto che Fratelli d’Italia abbia invece “ricostituito” il partito di Mussolini, può presentare un esposto presso qualche Procura: nella democrazia italiana si può. Anzi, è probabile che la magistratura che anni fa ha subito lasciato fuggire impunita la “capitana Carola” – che “protestò” con un attacco navale a Lampedusa contro il vicepremier in carica e ministro dell’Interno Matteo Salvini – un fascicolo lo apra senza troppe remore.
Il sindaco rossoverde di Milano è convinto che chi ha votato FdI sia un italiano “spregevole”? Forse dimentica che la “dem” Hillary Clinton – titolare del copyright – perse le elezioni presidenziali Usa del 2016 contro Donald Trump anche per aver offeso e demonizzato in campagna elettorale metà dell’America. In quella democrazia dal 1776 nessuno può vantare una propria superiorità etico-politica, così come nessuno può essere giudicato un paria “a prescindere”: certamente non il presidente di un ramo del Congresso. E nemmeno un ex presidente come Trump: fino a che almeno i magistrati statunitensi non ne accerteranno – ed eventualmente puniranno – le responsabilità nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Per ora è ri-candidato alla Casa Bianca, largamente in testa ai sondaggi anche nei confronti del presidente in carica Joe Biden.
P.S.: alla prima della Scala del 2007 il sindaco di Milano Letizia Moratti invitò l’emiro del Qatar Hamed bin Khalifa Al Thani. L’appoggio del Qatar – grande investitore immobiliare a Milano già prima dell’avvento di Sala – fu poi decisivo per l’assegnazione a Milano dell’Expo 2015: alla cui guida manageriale Sala fu posto dopo essere stato “city manager” del Comune di Milano amministrato dal centrodestra. Ancora in occasione degli ultimi Mondiali di calcio, ospitati da Doha un anno fa, non mancarono – anche in Italia, anche a Milano – voci polemiche contro lo stato dei diritti umani nella monarchia assoluta del Golfo (a cominciare da quelli di donne, gay e lavoratori immigrati). La stessa ambivalenza (narrativa, politica, finanziaria) nei rapporti fra Milano, Sala e la Scala con il mondo arabo-islamico è riemersa di nuovo quattro anni fa, quando il Cda presieduto da Sala dapprima valutò e poi fu costretto a respingere con imbarazzo una donazione di 15 milioni di euro dall’Arabia Saudita, che avrebbe portato una principessa di Ryhad nella stanza dei bottoni del Piermarini. Chissà cosa pensa oggi Sala del Qatar, quartier generale ufficioso e finanziatore di Hamas; nonché mediatore “terzo” con lo Stato ebraico sulla crisi di Gaza. A questo proposito, sarebbe interessante sapere con chi stia il sindaco, fra il premier israeliano Bibi Netanyahu e i (civili) palestinesi dei Territori. Per un candidato – ufficioso – al ruolo di federatore della sinistra italiana, non sarebbe male chiarirlo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.