Domani a New York si tengono le primarie in vista del voto per il sindaco, in calendario per il primo martedì di novembre. Nei fatti è quasi una “finale anticipata”: nessuno dubita che il successore di Bill Di Blasio sarà ancora un democrat, tanto che i runner alle primarie repubblicane sono soltanto due.
Sono invece ben 13 i dem ai nastri di partenza e chi di loro domani sera uscirà winner, sarà mayor della Grande Mela per i prossimi quattro anni.
Il primo della lista alfabetica – Eric Adams – è anche il favorito nei polls e negli umori dei media dell’establishement metropolitano. È il president di Brooklyn, uno dei cinque grandi borough di New York: lo stesso da cui otto anni fa è partita la candidatura vincente di Di Blasio. Da molti anni ormai Brooklyn sta sfidando Manhattan come Nuova Frontiera della città: ormai lontano dal vecchio cliché di ghetto multietnico di immigrati europei e altre minoranze; proiettata invece nella dimensione di valley di nuovi lavori digitali e di impetuoso sviluppo immobiliare.
Adams, nato 60 anni fa a Brooklyn, ne è da otto anni il primo “sindaco” afroamericano. Si è impegnato in politica dopo aver fatto per tutta la vita il poliziotto: lasciando il New York Police Department con il grado di capitano. Il cop Adams ha lavorato prima nella Transit Police, specializzata nella sicurezza della subway, poi è stato ufficiale in varie zone dell’area metropolitana: non solo nei precinct di Brooklyn ma anche nel Greenwich Village. La sua carriera pubblica decolla – più di venticinque anni fa – quando fonda 100 Blacks in Law Enforcement That Care, un gruppo attivistico animato da ufficiali di polizia afro, allarmati dall‘escalation di tensione fra la comunità afro e il NYPD negli anni di Rudolph Giuliani, il sindaco-magistrato repubblicano della zero tolerance.
Fra tanti tifosi, Adams ne ha trovata negli ultimi giorni una molto speciale: Rana Foroohar, global business columnist del Financial Times, che abita a Brooklyn con il marito e i tre figli. “New York ha bisogno di un sindaco Law and Order”: Foroohar ha titolato così (molto più “à la Giuliani o à la Trump” che “à la Black Live Matters”…) una lunga feature-endorsement per Adams, candidato sindaco della città vera gemella della City londinese sul pianeta.
Il testo ha un inizio brusco: cita le statistiche della criminalità urbana nel mese di maggio, anno-su-anno rispetto al primo picco-Covid del 2020. L’indice aggregato della criminalità ha registrato un balzo del 23,6%, trainato dal +46,7% delle rapine e dal +35,6% di reati contro il patrimonio. E le sparatorie finite nei mattinali del NYPD sono triplicate. L’analisi è ovviamente elementare, anche per la penna usualmente sofisticata di Foroohar: la pandemia ha fatto strage di posti di lavoro e micro-imprese (soprattutto bar, ristoranti, negozi, ecc.) in una città iper-terziaria. Ha esodato migliaia di professional, trasformando a lungo Manhattan e dintorni in una sorta di deserto urbano popolato di homeless (cui l’amministrazione comunale ha dato doverosa assistenza).
Ora i banker e gli avvocati fuggiti alle Hawaii, alle Bermuda o nel New England, si stanno affezionando alla loro nuova condizione di smart worker. E se New York non tornerà “just livable” (come tuonava un memorabile Al Pacino, sindaco newyorkese da film), gli ordini perentori delle major di Wall Street e “ripresentarsi all’appello” in ufficio all’inizio di luglio cadranno nel vuoto. Tutta la città rischia di rimanere semi-disabitata e “in folle”. Il Nyse e il Nasdaq sono ormai giganteschi robot manovrabili agevolmente a sei fusi orari di distanza. E nessuno intanto affollerà più i chioschi per comprare hot dog oppure i ristoranti trendy per le ostriche: non i pendolari e nemmeno i turisti. E il rischio è che ciò renda esplosiva la decelerazione già in corso dei sussidi d’emergenza. Non si venderanno più t-shirt “I Love NY” e neppure appartamenti multimilionari nelle tower vecchie e nuove affacciate su Central Park. E lo spettro degli spettri rimane quello fiscale e finanziario: New York andò in bancarotta a metà anni ’70, guarda caso quando era una città “senza più ordine né legge”. Poco importa quale fosse la causa e quale l’effetto.
È probabilmente per questo che nella Grande Mela molti si vanno convincendo dell’opportunità di un sindaco “black law and order”. Un esperto poliziotto che nel suo programma ha già arruolamenti supplementari del NYPD (l’opposto del disarmo del law enforcement nelle grandi città sollecitato dai radical). Sembra questa la ricetta per favorire la recovery di JPMorganChase ma anche degli shop larghi due metri che vendono smartphone di seconda mano. Per far tornare gente al MoMa ma anche per frenare la diaspora degli hipster digitali da Brooklyn. Per impedire che Times Square ridiventi l’hub dello spaccio a Manhattan.
Naturalmente l’ultima parola resta agli elettori. Domani.
P.S.: Ogni riferimento alle primarie dei dem italiani di ieri, per la scelta dei candidati sindaci nelle grandi città, è puramente casuale.
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