I bambini possono ammalarsi di Coronavirus? Ce lo siamo chiesti a più riprese, se lo sono chiesto soprattutto medici ed esperti costantemente al lavoro per scoprire il modus operandi del Covid-19. La rivista International Journal of Infectious Diseases ha pubblicato di recente una nuova ricerca, condotta dall’Università di Parma: la prima firmataria è Adriana Calderaro (direttrice della Scuola di Specializzazione in Microbiologia e Virologia) e quello di cui si parla è il primo caso al mondo di un lattante isolato per aver contratto il Covid-19. Il virus, si legge, è stato isolato e identificato in coltura dalla Calderaro, da Flora De Conto e Maria Cristina Arcangeletti, oltre ai collaboratori, nei Laboratori di Virologia Isolamento Agenti Virali e di Virologia Molecolare del Dipartimento di Medicina e Chirurgia.
Una scoperta che potrebbe cambiare tante cose: sulla ricerca si legge che la diagnosi di infezione da Coronavirus è stata possibile grazie all’utilizzo di tecnologie molecolari avanzate in sinergia con metodi colturali convenzionali. Il virus da coltura è stato identificato al microscopio elettronico per la sua caratteristica morfologia, poi tramite l’identificazione dell’acido nucleico; il campione riguardava un bambino di 7 settimane (dunque meno di due mesi) che era stato ricoverato nel reparto di Neonatologia. Vi è rimasto per pochi giorni con febbre e mal di gola, che però erano stati riferiti ad un normale disturbo dell’apparato respiratorio; nessuno aveva dunque formulato un sospetto clinico o anamnestico di Coronavirus,
Probabilmente, sulla ricerca, il campione originale era a bassa carica virale; per questo motivo il virus non è stato identificato che 10 giorni dopo. E dunque, i ricercatori hanno messo l’accento sull’esame colturale che rimane quello di maggiore sensibilità per diagnosticare un qualunque tipo di virus. Infatti, i metodi che si basano sulla sola ricerca dell’acido nucleico virale non possono dimostrare l’infettività dell’agente. La ricerca ha potuto anche dimostrare la rilevanza del risultato dal punto di vista epidemiologico e diagnostico. Nel primo caso infatti si può capire come il Coronavirus fosse già in circolazione tra i bambini e i ragazzi ben prima che l’epidemia fosse riconosciuta in città, e questo supporta la tesi per cui la sua circolazione sia poco conosciuta in queste fasce di età perché si manifesta in forme lievi o che appaiono comuni affezioni respiratorie. Può avere dunque una diffusione “subdola e silente”.
Dal punto di vista diagnostico, il risultato del gruppo di ricerca dell’Università di Parma conferma come l’esame colturale sia il riferimento per la diagnosi virologica; di conseguenza diventa ancora più importante e necessario che i virologi attuino controlli puntuali applicando metodi diagnostici affidabili, soprattutto in un caso come il Coronavirus che ha manifestato l’emergere di un nuovo agente virale. Grazie al caso del lattante si potranno ora avere maggiori informazioni su questo Coronavirus e sul modo in cui agisce su bambini e ragazzi, comparandolo con quello isolato dalla popolazione adulta non solo in Italia ma anche nel resto del mondo.