Primo maggio 2023. Il mercato del lavoro italiano continua a essere uno dei peggiori fra quelli dei Paesi sviluppati. L’occupazione è tornata a essere sopra i livelli pre-Covid e i contratti a tempo indeterminato sono saliti più dei contratti a termine. Eppure il lavoro resta non valorizzato.

Troppi giovani e troppe donne sono tenuti fuori o marginalizzati con contratti che penalizzano il dichiararsi attivi. Crescono i non attivi che si dichiarano disposti a lavorare solo a certe condizioni. Ecco, non si creano le condizioni affinché cresca il tasso di occupazione complessivo.



Nello stesso tempo il lavoro, preso nel suo complesso è sottopagato. Crescono i lavori poveri e la distribuzione del reddito ha premiato i redditi non da lavoro. Senza scelte di politica industriale e fiscale che premino la produttività sarà difficile invertire la situazione.

Eppure la descrizione prevalente del lavoro oggi insiste nel sottolineare fenomeni di fuga dal lavoro così com’è. Troppo stress. Richiesta di smart working generalizzato. Dimissioni cresciute e fuga dei cervelli. Sono questi i fenomeni più segnalati. Sono gli indicatori che sta crescendo l’insoddisfazione generalizzata per com’è trattato e organizzato il lavoro oggi.



Dietro a molti dei comportamenti segnalati ci sono scelte positive. Esperienze di lavoro all’estero sono arricchimento salariale, ma soprattutto di esperienza. Se non torna a essere emigrazione per fame è un processo positivo. Così come molte dimissioni sono perché chi ha competenze ben formate può scegliere come migliorare la propria condizione di lavoro.

Il segnalare solo i comportamenti individuali come fuga dal lavoro appare il tentativo di chi pensa che tutto si regga sul singolo, che si debba insistere con la disintermediazione, che il lavoro debba diventare solo il posto dove ritirare un reddito e non il luogo dove si sviluppano le relazioni fra le persone e la realtà. Perché, come dice la nostra Costituzione, il lavoro è un diritto ed è dovere dei cittadini contribuire alla crescita materiale o spirituale della società.



La crescita delle tutele del lavoro e la sua valorizzazione non trovano spazio nell’isolamento dei singoli, ma possono crescere in un ambiente dove le persone sono capaci di sviluppare reti di collaborazione. Così si può uscire dall’isolamento del lockdown con una nuova capacità di mettersi assieme.

Il lavoro oggi deve recuperare la capacità di creare ambiti collettivi dove sviluppare possibili reti di collaborazione per rendere il lavoro più vicino ai desideri di chi lo fa e insieme più produttivo. Ecco che allora la proposta di legge di iniziativa popolare avanzata dalla Cisl per dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione, definire le forme della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, assume un significato che va oltre il solo contenuto della proposta.

Il testo presentato norma le forme della possibile partecipazione, da quella azionaria alla presenza nei Cda delle imprese, le regole per la creazione di organismi consultivi e dei poteri decisionali. A supporto si propongono sgravi fiscali per le imprese e i lavoratori che si coinvolgono in iniziative di nuova governance d’impresa.

Il testo non è una scelta ideologica calata dall’alto, ma tiene conto di tante esperienze che sono in corso nel nostro Paese. Già oggi in importanti imprese i contratti aziendali hanno previsto commissioni dove le parti aziendali e i rappresentanti dei lavoratori decidono assieme su ambiti dell’organizzazione del lavoro. Per le start-up esiste già una norma che tutela forme di partecipazione al capitale dei lavoratori. Anche se normalmente ci comunicano fenomeni negativi, esiste una realtà di contrattazione aziendale che riesce a essere molto più avanti di quanto appare centrale nel dibattito politico sul lavoro.

La proposta di legge “per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori” raccoglie tutte queste esperienze positive per farle diventare una nuova possibilità di crescita del ruolo esercitato dai lavoratori nell’ indirizzare il mondo del lavoro e della produzione.

È anche una sfida al modo di fare sindacato. Con il cambiamento avvenuto nell’economia in questi anni sono cresciuti gli ambiti dove non basta porsi come antagonisti per la contrattazione sia con parti private o con il Governo. Gli spazi per una reale concertazione possono essere produttivi solo se lo scambio prevede diritti e doveri reciproci per arrivare a obiettivi comuni. Questo richiede un’assunzione di responsabilità nel fornire servizi, nell’essere spesso anche coinvolti nella gestione delle iniziative concordate.

L’evoluzione del modello dei fondi interprofessionali chiamati oggi a essere protagonisti per parte delle politiche attive del lavoro, e che saranno sempre più centrali nel nuovo sistema di formazione e certificazione delle competenze, indicano una strada di nuovo impegno per le organizzazioni dei lavoratori.

In questo il sindacato può tornare a essere promotore di innovazione sociale. Va chiusa la stagione della disintermediazione, i corpi sociali, il Terzo settore e tutto il mondo della rappresentanza possono aprire una nuova stagione di partecipazione. La proposta di legge ci indica però un metodo. Non si può tornare al passato, a forme di pura conflittualità. C’è bisogno di una comune assunzione di responsabilità per definire un nuovo futuro comune.

L’uscita dalla fase della solitudine può avere successo se si impara a dire noi e a tornare ad avere obiettivi comuni su cui collaborare.

Il primo maggio assume così ancora un significato importante. Il lavoro si libera e insieme promuove un miglioramento per tutta la società.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI