Nel corso dell’ultimo anno in tanti, parlando di lavoro, hanno promosso (e in molti casi esaltato) il ricorso allo smart working. È ormai del tutto evidente come questo strumento, rivelatosi senz’altro “inevitabile” nelle settimane del lockdown più duro all’inizio della pandemia, rappresenti oggi un disincentivo alla vita sociale e al lavoro. Già, il lavoro: uno degli aspetti fondamentali della nostra quotidianità, fondato sulla relazione e sull’umanità. Ogni persona, infatti, impara e si arricchisce in un rapporto umano, nell’apprendimento che è esperienziale e nell’esperienza che, appunto, è incontro.



Viviamo così un’epoca di cattività umana in una costrizione che non può essere una prospettiva positiva. Ritornare alle relazioni è assolutamente un desiderio giusto e reale di persone che hanno bisogno di impattarsi con la realtà in un naturale processo di maturazione che diventa di coscienza e di conoscenza.

Il termine “smart working”, così come ne abbiamo abusato, diventa una falsità. Quello di oggi è spesso ridotto a una forma di telelavoro da segregati in casa. Penso, ad esempio, alle donne sulle quali l’emergenza ha impattato in vari modi, anche attraverso intricati e difficili tentativi di conciliazione vita-lavoro. Esattamente come accadde nel corso delle due guerre mondiali quando dovettero prendere il posto dei loro padri, fratelli e mariti nelle fabbriche e nei campi agricoli, le donne si sono trovate nell’ultimo periodo a co-gestire la loro presenza e quella dei loro mariti entro le mura domestiche più affollate che mai, accollandosi, di fatto, maggiori oneri.



Più che smart working, questa è condizione di lavoro mortificante. Molte aziende ne hanno colto l’opportunità per operare una riduzione di spazi e costi, dimenticandosi che la condizione disumana, quale è l’assenza di relazione e rapporti, prima o poi avrà un costo più alto da pagare. Tornerà, infatti, impellente la domanda di luoghi per incontrarsi alla quale ci si troverà impreparati nel dare adeguate risposte. Non a caso le imprese più avanzate del mondo hanno già velocemente riposizionato i propri collaboratori nei loro ambiti e spazi fisici aziendali in condizioni di assoluta sicurezza e sorveglianza.



È bene allora, nel celebrare la ricorrenza del Primo Maggio dedicata a tutte le lavoratrici e lavoratori, non dimenticare ciò di cui abbiamo bisogno per lavorare: relazioni umane. Una vera e sana ripartenza avverrà solo mettendo al centro la persona e il suo compimento. Lo dimostra, in questo senso, anche la nostra quotidianità come organizzatori di Artigiano in Fiera, la più grande manifestazione al mondo dedicata alla micro impresa. Il bisogno di reincontrare e di compartecipare un’esperienza è quantomai impellente per le migliaia di artigiani, italiani ed esteri, con i quali lavoriamo. Lo facciamo ogni giorno sia traducendo questa necessità online, sulla piattaforma digitale di Artigiano in Fiera, sia nel costruire la prossima edizione dell’evento fieristico, dal 4 dicembre a Milano.

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