Tenendo in mano una copia dell’articolo scientifico dal titolo “A scalable pipeline for designing reconfigurable orgnanisms” la prima sensazione che si prova è quella di avere tra le mani qualcosa di veramente importante e di cui non si riesce ancora a intuire con chiarezza quali possano essere gli sviluppi e le applicazioni future.
Tale percezione iniziale viene immediatamente confermata da due altri fattori importanti: la credibilità della rivista PNAS, su cui sono stati pubblicati i risultati di questa ricerca, organo ufficiale della prestigiosa National Academy of Science degli Stati Uniti d’America; l’autorevolezza dello scienziato che ne ha curato l’edizione, Terrence J. Sejnosky, conosciuto da tutti come Terry, pluripremiato professore del Salk Institute in California, pioniere indiscusso delle reti neurali e delle neuroscienze computazionali.
L’idea che sta alla base di questa ricerca, resa possibile dalla collaborazione di due informatici dell’Università del Vermont (Sam Kriegman e Josh Bongard) con due biologi della Tuft University di Medford e della Harvard University di Boston (Michael Levin e Douglas Blackiston) è tanto semplice quanto apparentemente impossibile da realizzare.
I dispositivi tecnologici che siamo abituati a utilizzare nella nostra quotidianità sono costruiti utilizzando vari materiali come metalli, plastiche, prodotti sintetici che possono avere un impatto negativo sia sull’ambiente che sulla salute di chi li utilizza.
La domanda allora che si pongono questi ricercatori è la seguente: è possibile sviluppare nuove tecnologie utilizzando materiali biocompatibili che si auto-rinnovano come, per esempio, veri e propri sistemi viventi?
Il gruppo di ricerca guidato dal professor Bongard risponde positivamente a questa domanda, illustrando un metodo per individuare quale sia la configurazione ottimale per assemblare in tre dimensioni le cellule di questi nuovi microrganismi allo scopo di ottenere uno specifico comportamento.
Dopo aver identificato alcuni comportamenti semplici, quali la locomozione o il trasporto di altri oggetti, gli informatici hanno messo a punto una simulazione al computer che, attraverso l’utilizzo di un algoritmo che tiene conto dell’evoluzione degli organismi, restituisce quale sia la configurazione ottimale che tali organismi debbano avere.
A questo punto, sono entrati in gioco i biologi, che hanno utilizzando cellule staminali pluripotenziali estratte da embrioni di una rana acquatica africana (Xenopus laevis) per ottenere diversi tessuti quali, per esempio, il muscolo cardiaco. Successivamente, seguendo le indicazioni ricevute dalla simulazione al computer, hanno assemblato tali cellule in modo tale da ottenere organismi che sviluppassero i comportamenti programmati.
Il risultato finale ottenuto è sorprendente: tali microscopici organismi, infatti, rimessi in un ambiente liquido, sono stati capaci di spostarsi spontaneamente da soli o in gruppo in modo coordinato oppure di manipolare o trasportare oggetti da un punto a un altro.
Si può pensare che, grazie alla loro biocompatibilità, un possibile sviluppo futuro di questa ricerca potrebbe essere quella di sviluppare microrganismi che, come tanti piccoli robot, siano programmati a portare a compimento specifici compiti quali trasportare e somministrare farmaci in un posto specifico del corpo umano oppure ripulire le falde acquifere inquinate.
Come abbiamo detto all’inizio, è difficile immaginare tutte le numerosissime applicazioni possibili. Quel che è certo è che il primo fondamentale passo è stato compiuto.