La lex column dei Financial Times di giovedì è stato un lungo consiglio a Draghi e ai suoi “Draghi Boys”; il titolo del quotidiano inglese racchiude il programma “privatizzazioni italiane: i ragazzi di Draghi dovrebbero abbracciare uno Stato più piccolo” (“Italian privatisations: Draghy Boys should embrace a smaller state). In un mondo ideale, prosegue l’FT, oltre alle riforme per affrontare la burocrazia bizantina, un “topos” sull’Italia popolare quanto pizza e mandolino, il Governo dovrebbe varare ampie privatizzazioni. 



La lista dei compiti a cassa è precisa: privatizzazione di Monte Paschi, Snam e Italgas, Eni ed Enel e infine Poste e Leonardo. D’altronde, spiega l’FT, l’intervento pubblico è una tradizione dei tempi imperiali e ci sarebbe spazio per immettere più capitali privati in Italia. Non manca nemmeno lo zuccherino delle cessioni delle società energetiche per “permettere al mercato di perseguire meglio la decarbonizzazione”. 



Il valore delle partecipazioni viene specificato, ma lo storico argomento a favore delle vendite, la riduzione del debito, non viene ovviamente esplicitato. Dopo due anni di fila con un deficit in doppia cifra e un debito su Pil esploso in due anni di oltre 30 punti, in ottima compagnia con il resto dei Paesi sviluppati, le “privatizzazioni” sarebbero meno di una goccia dell’oceano e completamente ininfluenti. Vale il generico argomento di uno Stato più snello, ma la scusa è davvero scivolosa in un mondo di redditi di cittadinanza, sussidi a fondo perduto, decisioni sul mondo delle imprese prese unilateralmente dai Governi e aiuti pubblici a settori di ogni ordine e grado in ogni Stato europeo e oltre. Per avere uno Stato più piccolo, dopo la pandemia, bisognerebbe prendere in considerazione una lista lunghissima coinvolgendo magari il ruolo delle banche centrali. Parlare di privatizzazioni nel mondo post-Covid con tutto quello che è successo e con finanziamenti green regalati è quasi grottesco.



Le partecipazioni elencate dall’FT sono l’osso delle partecipazioni statali italiane: idrocarburi, energia elettrica, difesa con tutto quello che si portano dietro in termini di relazioni internazionali e indipendenza energetica in una fase delicatissima in cui Gazprom sospende le forniture di gas in Europa e le navi della Marina militare italiane vengono mandate nel Mar Nero. Non crediamo di esagerare quando diciamo che sono il cuore di ciò che è rimasto della sovranità italiana visto che la moneta è stampata dalla Bce, la sovranità è condivisa e alle riunioni dell’Europa con la Cina presenziano Emmanuel Macron e Angela Merkel parlando per tutti. Quel poco che è rimasto in termini di rapporti di potere dentro e fuori dall’Europa lo si deve in buona parte proprio alle società della lista di cui sopra. Un consiglio di questo tipo sarebbe lunare se dato alla Francia e Paesi con sovranità più robuste della nostra che sono in grado di muovere il sistema Paese senza “Cdp”, una via che non si applica al nostro caso. 

Queste società fanno gola perché sono strategiche e valgono molto oltre quello che viene espresso dalle quotazioni di mercato. Senza di esse l’Italia non potrebbe avere una politica estera nemmeno nel Mediterraneo, per non parlare di un mondo complicato in cui le forniture energetiche sono molto più precarie di quanto sembri. 

I capitali privati in borsa vanno e vengono e l’offerta dell’FT sembra uno scambio tra perline colorate e oro. In definitiva un ruolo politico, per quanto di primissimo piano, in un Paese senza più alcun briciolo di sovranità non sembra particolarmente allettante. Se bisogna fare o far fare qualche affare va benissimo, ma non scherziamo su cose così serie. Draghi si faccia una risata e passi oltre. 

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