Ursula von der Leyen è in ritardo, il suo piano di chiudere in settimana la squadra di commissari non è pronto. Non tanto nella lista, ormai nota, quanto nella maturazione di un clima politico che accolga quella lista. Ora pare che il problema di Fitto sia di essere inviso a PSE, liberali e verdi, che ne contestano l’appartenenza ai conservatori (ECR), gruppo che non avrebbe diritto ad un peso così importante come quella di uno dei cinque vice presidenti esecutivi. Ed anche il fatto che sia un esponente di un governo non amico della futura maggioranza di certo non aiuta. Solo che Fitto rappresenta uno dei Paesi fondatori e contributori netti, uno dei Paesi a cui già è stato negato un “top job”, uno dei Paesi che ha un Pil ed una popolazione ai vertici della piramide europea. Perciò Ursula ci va piano. E preferisce aspettare. Dialoga, forse tratta qualche altro spazio, politico o di potere per gli scontenti, e capisce nel dialogo se la corda è tesa o se sta per rompersi.



Ora che la questione è calda tutti i partiti che potrebbero, o dovrebbero, appoggiarla la stanno braccando per avere crediti e spazi, anche mediatici, che una volta insediata la Commissione perderanno. Ed ora possono e devono insistere. Perciò questo ritardo è opportuno per lei. Del resto, che Fitto sia l’unica scelta oggi spendibile da parte del governo appare chiaro dopo che Tajani, l’unico che potrebbe insidiarlo, ha detto a chiare lettere di non voler tornare in Europa. Se lui volesse potrebbe far saltare i buoni propositi, ma ad oggi ha mantenuto fede al patto, resistito alle tentazioni, se ne ha avute, ed ha aperto la strada a Fitto.



Ma cosa non va in lui? Sicuramente la storia recente delle posizioni della Meloni in Europa non aiuta. Anche la collocazione storica della Meloni in Europa non è di buon auspicio, dopo anni passati tra la destra antieuropea. Solo che la meloni ha dovuto maturare, ha seguito per qualche tempo i consigli di Mario Draghi ed ha comunque un rapporto con von der Leyen.

Basta questo per far rischiare il collo a von der Leyen sul nome di Fitto? Sicuramente sì. L’Italia conta e deve contare in Commissione, e senza un gesto politico di apertura si aprirebbe una voragine tra le istituzioni europee, il Governo e parte dell’elettorato moderato, che vedrebbe nella negazione di un ruolo di prestigio al Paese un’intollerabile retrocessione, con il rischio di aprire la strada agli anti-europeisti. Inoltre, le critiche sul collocamento politico della Commissione sono strumentali: conterà il programma e quanto verrà messo in cantiere e questa volta tutti hanno compreso che il momento è delicato. Guerre, crisi tedesca, rapporti tra UE, Cina e USA impongono un programma di merito non massimalista e di grande equilibrio che non distrugga il tessuto produttivo con visioni troppo avveniristiche, ma spinga al contempo il sistema verso la crescita, innovando anche i processi ed il rapporto tra Europa e Stati membri.



Perciò il nome di Fitto non può essere un limite o il problema su cui von der Leyen si deve preoccupare. Se molla su questo avrà di sicuro ben altri problemi a costruire la maggioranza. Se il suo programma non avrà il consenso in Parlamento, sarà perché le forze politiche non intendono darle fiducia sui contenuti e non sui nomi, e men che meno sul nome di Fitto a cui parte delle opposizioni in Italia ha dichiarato di non essere ostile ed essere disponile a votarlo. Dunque è solo questione di tempo. Tempo e trattative.

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