Era nell’aria e ieri se n’è avuta la conferma: la Commissione europea ha sancito, nel suo rapporto sul debito italiano, che una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese “è giustificata”. Si tratta del primo passaggio di un processo che formalmente potrà avere inizio solo con la conferma di un voto da parte degli Stati membri, attraverso il Consiglio europeo. A spiegarci cosa potrà accadere ora, dopo la decisione presa da Bruxelles, è Lorenzo Pace, professore di diritto dell’Unione europea presso l’Università del Molise,



Secondo la Commissione Ue, la procedura d’infrazione per eccessivo debito è giustificata perché l’Italia ha violato le regole nel 2018, nel 2019 e lo farà anche nel 2020. Che cosa succederà adesso? Che cosa prevedono i Trattati in questo caso?

La Commissione ha emanato una relazione “126.3” negativa, cioè in cui ha accertato che l’Italia ha violato il criterio del debito stabilito dal Trattato di Maastricht. In tale valutazione è stato accertato che non solo il debito italiano è molto superiore al limite del 60% previsto dai Trattati, cioè attualmente oltre il 130% nel rapporto con il Pil, ma è in crescita invece che in diminuzione. La relazione “126.3” costituisce però solo la prima fase della procedura per disavanzo eccessivo. Entro due settimane il Comitato economico e finanziario dovrà esprimersi su tale conclusione, come prevede l’art. 126.4 dei Trattati. Dopo questo la Commissione e il Consiglio dovranno decidere se la situazione italiana configura un disavanzo eccessivo, cioè una situazione di instabilità economica pericolosa non solo per l’Italia ma per l’intera eurozona. Questo però solo dopo i contatti che certamente vi saranno tra Commissione e Governo italiano e gli eventuali impegni che l’Italia prenderà per evitare l’apertura del procedimento d’infrazione.



Che cosa può fare l’Italia per scongiurare la procedura d’infrazione?

Come dicevo, ora inizia una fase di negoziazione in cui l’Italia, a fronte degli accertamenti tecnici della Commissione, deve dimostrare di voler concretamente rispondere alle preoccupazioni indicate dall’Autorità europea. Tecnicamente, l’Italia deve convincere la Commissione che la violazione del criterio del debito non si trasformi, a fronte di eventuali e futuri impegni del Governo, in un disavanzo eccessivo, questo sì vietato dal Trattato. Il Governo nel novembre/dicembre dello scorso anno, a fronte di un’altra relazione negativa della Commissione, era riuscito a convincerla di non passare alla fase operativa della procedura d’infrazione.



Cosa potrebbe accadere se il Governo dovesse cadere? Vero è che resterebbe in carica per gli affari ordinari, ma in quel caso l’Ue muterebbe atteggiamento, verrebbe lasciato più tempo all’Italia? E se addirittura fossero sciolte le Camere e si andasse a elezioni anticipate?

Aspettiamo di vedere come si evolverà la negoziazione tra Governo e Commissione. La conferenza stampa del Presidente del Consiglio italiano di lunedì scorso voleva essere, a mio avviso, la dimostrazione da parte del Premier Conte di voler svolgere in tale negoziazione un ruolo centrale. Potremmo avere delle sorprese. Riguardo alla dinamica della procedura d’infrazione, nel caso di crisi di Governo o di elezioni anticipate, i Trattati prevedono grande discrezionalità nell’evoluzione di questa. In una simile eventualità certamente il Consiglio e la Commissione terrebbero in considerazione tale nuova situazione. Ma la “flessibilità”, è da supporre, sarebbe relativa esclusivamente alla modifica della tempistica, ma non agli obiettivi che l’Italia deve raggiungere, cioè la modifica della propria politica economica al fine di rispettare il criterio del debito.

La proposta della Commissione potrebbe arrivare sul tavolo dell’Ecofin già il 9 luglio. Sono tempi affrettati o congrui?

Sono quelli previsti dal Patto di stabilità e crescita. La Commissione, a fronte della negoziazione con il Governo, ammesso e non concesso che il Governo voglia negoziare, dovrà stabilire a breve se la violazione del criterio del debito determini un disavanzo eccessivo. Accertato questo, l’art. 3.3 del Regolamento 1467/1997 dispone che il Consiglio decida dell’esistenza di un disavanzo eccessivo, e quindi il passaggio alla fase operativa del procedimento, “di norma” entro quattro mesi.

Gli organismi Ue sono in una fase di transizione e di rinnovo dopo il voto delle elezioni europee. La nuova Commissione dovrà per forza accettare di proseguire l’iter della procedura o i Trattati prevedono che la questione possa essere ridiscussa?

Come in ogni organo, quello che rileva è la continuità istituzionale e non quella personale dei suoi membri. Quando l’Unione prende una decisione così grave come l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo, tale valutazione difficilmente viene ridiscussa a breve. La “nuova” Commissione manterrà certamente un suo margine di discrezionalità in merito alla valutazione dei concreti atti presi dallo Stato per eliminare il disavanzo eccessivo. Ma è da dubitare che la decisione di fondo, quella sull’apertura della procedura d’infrazione sarà, nella malaugurata ipotesi, riconsiderata a breve dalla “nuova” Commissione.

Quali sarebbero le conseguenze concrete di una procedura d’infrazione, a parte le “multe” di cui si parla? Ed entro quali tempi arriverebbero le multe?

In una procedura d’infrazione, le Istituzioni dell’Unione “raccomandano” allo Stato le misure di politica economica da adottare per eliminare il disavanzo eccessivo. In tale situazione l’Unione cambia ruolo. Da mero controllore del rispetto dei parametri del deficit e del debito, essa diviene colei che individua le misure che lo Stato deve emanare per uscire dalla situazione di violazione. Riguardo ai tempi di emanazione delle eventuali sanzioni, il Patto di stabilità e crescita, durante la crisi dell’eurozona, è stato modificato sul punto in modo profondo, in termini di maggiore rapidità di adozione delle relative decisioni.

In che modo?

L’art. 5 del Regolamento 1173/2011 prescrive che nel caso di un “inadempimento particolarmente grave” agli obblighi del Patto di stabilità e crescita, la Commissione propone la costituzione di un deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil, cioè per l’Italia circa 3,5 miliardi di euro, entro venti giorni dalla decisione del Consiglio di aprire il procedimento d’infrazione. Quindi, se la decisione sull’apertura della procedura fosse presa il 9 luglio prossimo, la Commissione potrebbe proporre al Consiglio di adottare tale sanzione entro le fine del mese prossimo. Questo in punto di diritto. È però improbabile che la Commissione, in questa prima fase, proponga una simile sanzione. Non foss’altro perché questa sarebbe la prima volta che è aperta una procedura per debito, e non deficit, eccessivo nella storia dell’Unione. D’altra parte, la decisione di comminare una sanzione potrebbe avere un effetto controproducente per l’obiettivo della procedura, cioè riportare la politica economica italiana in linea con le regole comuni dell’euro.

(Marco Biscella)

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