La Commissione europea ha formalizzato ieri l’apertura della procedura d’infrazione per eccesso di deficit nei confronti dell’Italia. Analogo provvedimento è stato preso nei confronti di Francia, Belgio, Malta, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Il ministro dell’Economia Giorgetti ha rimarcato che la decisione di Bruxelles era “ampiamente prevista”. Infatti, come ricorda Domenico Lombardi, economista, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, «l’Italia ha riportato un deficit in eccesso del 3% del Pil lo scorso anno e, quindi, la Commissione ha dovuto avviare la procedura».
Solamente a novembre si sapranno quali saranno le azioni correttive richieste all’Italia. Nel frattempo ci saranno dei negoziati tra Bruxelles e Roma sulla traiettoria tecnica di rientro dei conti pubblici prevista dalla riforma del Patto di stabilità e sulla proposta e il Piano strutturale di bilancio che il Governo italiano dovrà presentare a settembre. Non c’è il rischio che possano prevalere la discrezionalità e le trattative politiche tra l’altro con due diverse Commissioni?
Esistono delle idiosincrasie che rischiano di creare non poca incertezza nella gestione di questa procedura, oltre le dinamiche macro-fiscali oggetto della procedura stessa. È la prima volta che ciò accade nel contesto del riformato Patto di stabilità e si svolge a cavallo tra due Commissioni, due Consigli e due Parlamenti. In aggiunta, a breve vi saranno le elezioni francesi con la Francia anch’essa sotto procedura di infrazione. Insomma, un bel mix…
In effetti, più che di Italia, nella conferenza stampa seguita alla presentazione del pacchetto di primavera del semestre europeo si è parlato della Francia, anch’essa unico altro grande Paese membro oggetto di una procedura d’infrazione per eccesso di deficit. Pensa si possa correre il rischio di vedere una sorta di disparità di trattamento tra Italia e Francia, che del resto non sarebbe una novità? Oppure questo dipenderà anche da chi ci sarà al Governo a Parigi?
L’uniformità di trattamento rappresenta una criticità su cui occorrerà senz’altro vigilare. Allo stesso tempo, non è un mistero che l’Ue dispone di leve importanti da far pesare sui Governi nazionali. Piuttosto che entrare in una relazione antagonistica con le istituzioni europee, credo che Rassemblement National in Francia debba fornire un messaggio credibile sulla sostenibilità macroeconomica e fiscale del suo programma come hanno fatto, con successo, altri in Europa. Questo farebbe bene a quel partito, alla Francia e all’Europa. Detto questo, la scelta del nuovo Governo è nelle mani dei francesi e va rispettata.
Il fatto che le azioni correttive richieste all’Italia saranno rese note solo a novembre potrebbe creare dei problemi nella messa a punto della Legge di bilancio?
Sicuramente non aiuta, tuttavia leggendo con attenzione le Raccomandazioni che la Commissione ha redatto per il Consiglio, ciascuno dei Paesi destinatari di tale procedura – nel complesso sette inclusi Italia e Francia – può farsi un’idea abbastanza precisa del tenore e della natura delle misure correttive che verranno presumibilmente richieste.
A questo proposito, cosa pensa delle Raccomandazioni specifiche per l’Italia? Vede qualche elemento nuovo o soprattutto critico?
Le raccomandazioni per l’Italia vanno intese anche come un’azione di sprone. Resta, però, che la Commissione ha soppesato in modo asimmetrico – anche nella narrativa sviluppata per sostenere la necessità dell’avvio della procedura di infrazione – quello che c’è ancora da fare e quello che, invece, è stato già fatto con lo smantellamento del Superbonus e del Reddito di cittadinanza, tra l’altro. Peraltro, la postura fiscale per il 2024 è prevista, come riconosciuto dalla stessa Commissione, restrittiva.
Nei mesi scorsi e nelle scorse settimane è stato evidenziato che l’apertura della procedura d’infrazione può essere considerata “positiva”, in quanto non occorre ridurre dell’1% l’anno il rapporto debito/Pil come previsto dal nuovo Patto di stabilità e crescita. Cosa ne pensa?
Capisco l’argomentazione, ma eccoci di nuovo a calibrare i decimi di punto percentuale. Questo, peraltro, era stato un aspetto ampiamente dibattuto nei mesi precedenti alla riforma del Patto di stabilità in favore di un approccio maggiormente strategico e orientato al medio termine.
È previsto comunque un aggiustamento minimo del deficit pari allo 0,5% del Pil l’anno. Sembra un traguardo facilmente raggiungibile. Non c’è il rischio, però, di confondere l’aggiustamento minimo con quello che verrà effettivamente richiesto?
Se la natura delle misure correttive può essere in qualche modo inferita dalle raccomandazioni inoltrate dalla Commissione al Consiglio, non è chiaro, al momento, su quale base verrà richiesta e approvata l’entità delle misure correttive che farà inevitabilmente parte di un negoziato con i Paesi in questione. Il punto, tuttavia, è che le misure oggetto del negoziato devono contribuire a rendere la posizione fiscale più sostenibile nel medio termine. Per l’Italia, tra l’altro, si tratta di razionalizzare la spesa pubblica, rendere sostenibili i tagli al cuneo fiscale, anzi farne di più, e distribuire il carico fiscale – particolarmente elevato – che oggi insiste eccessivamente sul lavoro.
Nella conferenza stampa, in un paio di occasioni il Commissario Gentiloni ha dovuto evidenziare che non c’è un ritorno all’austerità con le nuove regole del Patto di stabilità e crescita. Cosa ne pensa?
Comprensibilmente, il Commissario Gentiloni ha enfatizzato gli aspetti migliorativi del Patto riformato che pure ci sono. Nel complesso, tuttavia, è innegabile che le misure restrittive che verranno richieste imprimeranno una rotta restrittiva alla politica fiscale dell’Eurozona in un contesto in cui l’attività economica è stagnante.
(Lorenzo Torrisi)
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