È cominciato oggi il maxi processo ai nove uomini che la giustizia belga ritiene responsabili della morte delle 32 vittime degli attentati del marzo 2016 a Bruxelles. Il verdetto della giuria è previsto per la metà del prossimo anno, ma l’aspetto particolare della vicenda è che anche lo Stato belga è finito sul banco degli imputati. Facciamo un passo indietro. Nel centro di Bruxelles, sotto gli occhi delle autorità di sicurezza, era cresciuta una cellula terroristica islamica. Il gruppo ha ucciso 130 persone a Parigi il 13 novembre 2015 in nome dell’Isis, prima di uccidere 32 persone nella capitale del Belgio. C’era Salah Abdeslam, cresciuto nel quartiere Molenbeek di Bruxelles e condannato all’ergastolo a Parigi per il suo coinvolgimento negli attacchi del 13 novembre. È tra i nove imputati, che sono accusati di omicidio, tentato omicidio e appartenenza o partecipazione ad atti di un gruppo terroristico.
Con lui sul banco degli imputati anche l’amico di infanzia Mohamed Abrini, che si allontanò indenne dall’aeroporto di Zaventem, a causa del malfunzionamento della sua cintura esplosiva. Del gruppo faceva parte, ad esempio, Oussama Atar, considerato l’europeo più di alto rango nelle file dell’Isis, ma a cui lo Stato belga gli aveva fornito un nuovo passaporto già nel 2012, nonostante avesse combattuto come islamista in Iraq contro le truppe Usa. Si ritiene che comunque sia morto in un attacco di un drone Usa in Siria nel novembre 2017. Dunque, le famiglie delle vittime vogliono risposte, capire perché queste persone già note non sono state fermate. La maggior parte degli uomini della cellula terroristica erano infatti noti alle autorità di sicurezza belghe come piccoli criminali, simpatizzanti dell’Isis, potenziali terroristi, eppure non erano stati fermati.
“APPARATO DI SICUREZZA BELGIO MENO VIGILE”
Anzi, dopo gli attentati di Parigi hanno preferito non colpire Bruxelles per non mettere a rischio il loro “campo base”. Emblematico è il caso di Salah Abdeslam, che si fece prendere in auto da due amici di Bruxelles dopo gli attentati a Parigi. Al valico di frontiera furono bloccati in un ingorgo e Abdeslam viene pure intervistato da un giornalista prima di ricevere il via libera dalla polizia, visto che il suo nome non era ancora nella lista dei ricercati. A Bruxelles si unì al resto della cellula per discutere dei nuovi attacchi: parlarono del porto di Anversa, di asili nido, del rapimento di un generale per liberare due compagni d’armi in prigione, Mehdi Nemmouche, che ha ucciso 4 persone in un attacco al Museo ebraico di Bruxelles nel 2014, e Ayoub El Khazzani, che ha sparato a un treno Thalys nel 2015. Ma decisero di attaccare di nuovo la Francia per i nuovi attacchi aerei contro l’Isis. L’obiettivo era l’apertura degli Europei di calcio 2016. Gli esperti di esplosivi cominciarono il loro lavoro, ma la caccia a Salah Abdeslam vanificò i loro piani. Il resto del gruppo partì carico di esplosivo. La prima bomba esplose al banco della Delta Airlines. La seconda esplosione allo sportello della Brussels Airlines, poi nella metropolitana di Molenbeek, vicino agli edifici dell’Ue. Dunque, nel mirino finisce l’apparato di sicurezza belga: gli stessi esperti di sicurezza belgi sostengono che sia diventato meno vigile. Solo un centinaio di “estremisti potenzialmente violenti” sono ancora elencati nel database nazionale, solo individui, non ci sono apparentemente indicazioni di gruppi terroristici.