A distanza di tre giorni dalla sentenza dell’Appello Bis sull’omicidio di Marco Vannini, la trasmissione Un Giorno in Pretura ripercorre la complessa e travagliata vicenda processuale che ha visto protagonista l’intera famiglia di Antonio Ciontoli. Tutto ha inizio la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 nella villetta di Ladispoli dei Ciontoli: Marco Vannini, bagnino 21enne di Cerveteri, era a cena in casa della fidanzata Martina. All’improvviso e per circostanze rimaste a lungo misteriose, Marco fu raggiunto da un colpo di arma da fuoco che lo portò poi alla morte. A sparare, come dichiarò lui stesso, fu Antonio Ciontoli, padre di Martina. Nessuno dei presenti in casa – oltre al capofamiglia e Martina c’era anche il fratello di quest’ultima, Federico, la fidanzata Viola Giorgini e la moglie di Ciontoli, Maria Pezzillo – allertò tempestivamente i soccorsi che avrebbero potuto salvare la vita al giovane Marco. Lo scorso 30 settembre si è chiuso ufficialmente il quarto processo: la Cassazione il 7 febbraio scorso aveva annullato la sentenza di secondo grado che aveva ridotto la pena da 14 anni a 5 anni per Antonio Ciontoli. In Appello, i giudici avevano smentito i colleghi del primo grado ritenendolo colpevole di omicidio colposo. Una sentenza che però per la Cassazione andava riformata dal momento che per i Supremi giudici c’era il dolo. Ad essere imputati nell’Appello Bis non è stato solo Antonio Ciontoli ma tutti i membri della famiglia poichè se Marco “fosse stato soccorso per tempo – si leggeva nelle motivazioni – si sarebbe salvato”.
OMICIDIO VANNINI: SENTENZA APPELLO BIS
Non è ancora possibile scrivere la parola fine al processo sulla morte di Marco Vannini, ma la strada intrapresa con l’Appello bis potrebbe essere quella giusta. Lo spera la famiglia della vittima che da anni chiede a gran voce giustizia. La Corte d’Assise d’Appello, nel processo bis ha condannato a 14 anni Antonio Ciontoli per omicidio volontario con dolo eventuale e a nove anni e quattro mesi per concorso anomalo in omicidio volontario i figli Martina e Federico Ciontoli e la moglie Maria Pezzillo. Al momento della lettura del dispositivo, scrive Repubblica.it, era presente come sempre anche la mamma di Marco, Marina Conte, che è scoppiata in lacrime: “E’ una grande emozione, finalmente dopo più di 5 anni abbiamo dimostrato quello che era palese dall’inizio. Se Marco fosse stato soccorso subito non saremmo oggi qui, ancora una volta davanti alle telecamere. Ma è la dimostrazione che la giustizia esiste. Non dovete demordere mai”. Prima della sentenza di Appello bis, Antonio Ciontoli aveva chiesto perdono alla famiglia Vannini. La mamma della vittima ha però commentato: “Antonio Ciontoli non deve chiedere perdono a noi, ma a sè stesso. Non so quale era la strategia dietro quelle parole. Questa è una sede di giustizia e non di vendetta, i giovani devono crescere con principi morali sani”.
I QUATTRO PROCESSI
Il processo per l’omicidio di Marco Vannini ha visto protagonista Antonio Ciontoli, principale imputato e reo confesso del delitto del 21enne. L’uomo fu condannato in primo grado a 14 anni di reclusione con dolo eventuale, mentre la moglie ed i due figli, Martina e Federico, a tre anni per omicidio colposo. Secondo i giudici del primo grado, Marco poteva essere salvato ma i Ciontoli, seguendo le indicazioni del capofamiglia, avrebbero ritardato l’arrivo dei soccorsi accettando in tal modo il rischio che Marco potesse morire. In secondo grado però le carte si sono ribaltate: la Corte d’Appello ha condannato Antonio Ciontoli a 5 anni per omicidio colposo poichè “Nonostante si tratti di una condotta particolarmente odiosa non può di per sé comportare che un fatto colposo diventi doloso”, confermando i tre anni per gli altri imputati. Nell’Appello bis ordinato dalla Cassazione, tutti i Ciontoli hanno fatto ritorno in aula. Secondo i giudici, rammenta Fanpage, “ad uccidere Marco non è stato il colpo di pistola in sé, colposamente sparato da Antonio Ciontoli, ma il ritardo dei soccorsi, che se chiamati e arrivati tempestivamente senza che venisse detto il falso, avrebbero potuto evitare la morte del giovane”.