Un altro clamoroso scandalo scuote la magistratura italiana. La procura di Brescia ha indagato per rifiuto di atti d’ufficio due importanti toghe di Milano, il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro. Sono i pubblici ministeri che hanno sostenuto l’accusa nel processo contro i vertici Eni, sospettati di avere distribuito tangenti in Nigeria per sfruttare i giacimenti di petrolio africano. Il top management della compagnia, tra cui l’amministratore delegato Claudio Descalzi e l’ex presidente Paolo Scaroni, sono stati assolti poche settimane fa dopo un dibattimento pieno di lacune, in cui l’impianto dell’accusa è sempre apparso traballante. Il fascicolo era stato aperto nel 2014: sette anni di gogna priva di fondamento.
Il rifiuto di atti d’ufficio, ipotesi di reato più grave della semplice omissione (che perciò viene sanzionato più severamente nel codice penale), riguarda un video che scagionava gli accusati. Nel filmato, girato di nascosto dall’avvocato Piero Amara (legale esterno dell’Eni), si vede uno degli accusatori – l’ex manager Eni Vincenzo Armanna – spiegare la propria strategia: accusare falsamente i vertici aziendali per gettare discredito su di loro e ricattarli, in modo da continuare a svolgere traffici illeciti assai lucrosi. Il video, registrato pochi giorni prima che Armanna depositasse le proprie accuse, era in seguito finito nelle mani della Procura, ma i pm non hanno voluto allegarlo agli atti preferendo dare credito ai (falsi) testimoni. Ora la Procura di Brescia, competente a verificare l’operato dei colleghi di Milano, ha indagato i due pm che hanno rifiutato di portare in giudizio un elemento chiave a discolpa degli accusati.
Parallelamente, Brescia ha pure ordinato una perquisizione negli uffici giudiziari di Milano nella quale sono state sequestrate tutte le comunicazioni mail dei pm indagati. Va ricordato che De Pasquale è il braccio destro del procuratore capo, Francesco Greco, e che Spadaro è appena stato nominato tra i 20 italiani che andranno a comporre la nuova Procura europea antifrode chiamata a vigilare su come i Paesi Ue utilizzeranno i fondi del Recovery plan. La perquisizione sarebbe relativa a un’altra vicenda, quella della presunta associazione segreta “Ungheria”.
Dopo la perquisizione, il relativo decreto è stato comunicato al Consiglio superiore della magistratura (il cui presidente risiede al Quirinale), al procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi e al ministro della Giustizia Marta Cartabia. Non risulta che nessuno dei tre abbia azzardato un commento sulle vicende che demoliscono la credibilità delle toghe. Nell’anniversario della strage di Capaci, lo scorso 23 maggio, il presidente Sergio Mattarella ha criticato “sentimenti di contrapposizione, contese, divisioni e polemiche” che “minano il prestigio e l’autorevolezza della magistratura”. Chissà se, dopo le indagini di Brescia, verranno aggiunti anche gli scandali e le ipotesi di reato tra gli elementi che screditano la giustizia italiana.
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