Dopo la clamorosa accusa lanciata ieri dal Tribunale di Milano contro la Procura in merito al caso Eni-Nigeria, arrivano le prime conseguenze (indirette) giudiziarie: fonti dell’Agi vicino a Palazzo di Giustizia milanese riportano oggi del procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro indagati per «rifiuto d’atti di ufficio» dalla Procura di Brescia. Tra i comportamenti dei pm messi sotto osservazione c’è anche «la vicenda del video non depositato al processo Eni», elemento emerso ieri nelle motivazioni finali alla sentenza di assoluzione per i vertici Eni, accusati ingiustamente di tangenti pagate (da Eni e Shell) in Nigeria.



Le stesse fonti dell’Agi fanno però sapere che l’aver nascosto il video di Amara e Armanna (come spieghiamo nel dettaglio qui sotto, ndr) non è l’episodio più importante: secondo Repubblica infatti la loro iscrizione nel registro degli indagati sarebbe avvenuta 10 giorni fa, in relazione alle dichiarazioni rese in Procura a Brescia dall’altro pm di Milano Paolo Storari (anche lui indagato a Brescia sul fronte Amara-Loggia Ungheria). Il video nascosto dalla pubblica accusa – secondo il Tribunale – per continuare a sostenere la colpevolezza dei vertici Eni Descalzi e Scaroni, non sarebbe dunque l’elemento principale dell’interesse della Procura di Brescia su Spadaro e De Pasquale: da capire invece quali relazioni vi siano tra l’avvocato Amara, le sue “teorie” esposte nei mesi scorsi ai magistrati e i rapporti interni alle procure.



NASCOSTO VIDEO DI AMARA SUL PROCESSO ENI

Nel giro di due giorni il nome di Piero Amara spunta in due diversissimi (finora) casi politico-giudiziari: ieri l’arresto dell’avvocato affarista (denunziante il presunto sistema della “Loggia Ungheria”) per le indagini sull’ex Ilva, oggi rispunta nelle motivazioni depositate dal Tribunale di Milano sulla sentenza del processo Eni-Nigeria, conclusasi con l’assoluzione degli imputati Descalzi e Scaroni. Come ben racconta oggi il Corriere della Sera, i giudici del processo Eni puntano il dito contro la Procura di Milano nelle 500 pagine di motivazione per la sentenza di assoluzione dello scorso 17 marzo scorso: in sostanza, per il Tribunale i pm avrebbero nascosto una prova rilevante a discarico degli imputati.



Si tratta di una videoregistrazione su Vincenzo Armanna – effettuata clandestinamente il 28 luglio 2014 dall’avvocato esterno Eni Piero Amara in una società dell’imprenditore Ezio Bigotti – in cui l’accusatore principe dei vertici Eni, due giorni prima di effettuare dichiarazione spontanea in Procura il 30 luglio 2014, ammette nella videoregistrazione di «ricattare i vertici della società petrolifera preannunciando l’intenzione di rivolgersi ai pm milanesi per far arrivare “una valanga di merda” e “un avviso di garanzia”». Armanna è stato utilizzato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro come principale accusatore contro l’amministratore delegato Claudio Descalzi.

LA GRAVE ACCUSA DEL TRIBUNALE CONTRO LA PROCURA DI MILANO

Per il presidente del Tribunale Marco Tremolada e per i giudici a latere Mauro Gallina e Alberto Carboni, la scelta della Procura risulta «incomprensibile la scelta del pubblico ministero di non depositare fra gli atti del procedimento un documento che, portando alla luce l’uso strumentale che Armanna intendeva fare delle proprie dichiarazioni e dell’auspicata conseguente attivazione dell’autorità inquirente, reca straordinari elementi in favore degli imputati», si legge ancora nelle “larghe” motivazioni presentate oggi a pochi mesi dall’assoluzione dei vertici Eni. Tale decisione processuale, se portata a compimento, afferma ancora il Tribunale «avrebbe avuto quale effetto la sottrazione alla conoscenza delle difese e del Tribunale di un dato processuale di estrema rilevanza». La stessa Procura di Milano già con l’avvocato Amara – all’epoca dei fatti, avvocato esterno per le questioni ambientali in Eni – aveva avuto non pochi “problemi” dato che le sue dichiarazioni sulla presunta Loggia Ungheria scatenarono dispute avverse tra il pm Storari e i pm De Pasquale-Pedio (con l’enorme “caso” giudiziario poi giunto fino al Csm, tra i togati Davigo, Ardita e Di Matteo). In quella videoregistrazione, spiega ancora il Tribunale (secondo il Corriere della Sera, ndr) si vedeva che Armanna «aveva interesse a “cambiare i capi della Nigeria” (in Eni) per sostituirli con uomini di suo gradimento ed essere così agevolato negli affari petroliferi che aveva in tandem con Amara». Lo strumento usato sarebbe poi stato il far pervenire loro un avviso di garanzia con dichiarazioni a quel punto, col senno di poi, considerabili “fuorvianti” se non proprio inventate: al netto di ciò, il pm De Pasquale, considerano i giudici del Tribunali, non avrebbe depositato alle difese il video perché ritenuto «non rilevante». Con una durissima parte tutta dedicata alla videoregistrazione, le motivazioni della sentenza scrivono come le intenzioni manifestate dalla Procura erano quelle di «gettare un alone di illiceità sulla gestione da parte di Eni dell’acquisizione della concessione di prospezione petrolifera, in modo da ottenere, attraverso l’intervento di Amara, l’allontanamento dalla Nigeria di coloro che avevano partecipato al negozio, in particolare di Pagano, sostituendolo con qualcuno di più accomodante verso la conclusione dell’affare in corso».