Oggi, 16 maggio ricomincerà il processo di diffamazione intentato da Johnny Depp nei confronti dell’ex moglie Amber Heard. È dall’11 aprile che se ne sta parlando su giornali e web. Spesso sconsideratamente. Ma sembra che questo non basti. C’è l’ulteriore bisogno di dare una lezioncina ai ragazzini sui social – alcuni non tanto ragazzini – che con raccapricciante (senza ombra di dubbio) black humor prendono in giro Amber Heard.  Invece che soffermarsi sulla colpevolezza o meno degli imputati che fino a prova contraria sono ancora presunti innocenti, c’è da chiedersi perché far passare messaggi perbenisti quando “la notizia” su alcuni quotidiani è che ad oggi il web sta dalla parte di Johnny Depp perché l’hashtag #justiceforjohnnydepp ha avuto 7 miliardi di visualizzazioni mentre quello per l’attrice solo 25 milioni. Questo è il livello.



Per non parlare del fatto che questo processo diventerà una docuserie che verrà trasmessa su Discovery+. Si sta già ridicolizzando la violenza e la giustizia solo per il fatto che ne stia parlando e come se ne stia parlando – appunto a colpi di hashtag o docuserie – quando forse l’unica cosa seria che si dovrebbe fare è aspettare e ascoltare la sentenza che esprimerà la giuria in Virginia alla fine di maggio. Perciò pare da ipocriti che gli aguzzini che fino ad ora hanno inneggiato ai cori da stadio, debbano pure fare la ramanzina a coloro che stanno banalmente facendo la stessa cosa, ma non su testate giornalistiche.



Johnny Deep e Amber Heard: come uscire dal processo mediatico?

In tutta questa storia, dove sembra che sia Johnny Depp che Amber Heard abbiano sbagliato, forse l’unica via utile d’uscita che rimane da fare per chi purtroppo può guardare, è quella di ascoltare quel grido di aiuto di quest’uomo e questa donna. Quel grido di Johnny Depp che ora sembra essere insondabile nella sua apparente compostezza, nel suo ridicolizzare quello che testimonia l’ex moglie o altri testimoni. Quel grido di un uomo che in una delle tante registrazioni dice: “Perché essere infelici, possiamo avere un po’ di comprensione?”, rivolgendosi a una donna che evidentemente non lo comprendeva più. E quel grido di Amber Heard che dice: “Pensavo fosse l’amore della mia vita. E lo era. Lo era, ma era anche quest’altra cosa. E l’altra cosa era terribile. Non potevo vedere il Johnny che amavo”. Da sottolineare anche questo. Si è parlato arditamente di tutto in questa storia, ma mai del fatto che un cocktail di droghe e alcol fa diventare “cose” le persone. La cerimonia del loro matrimonio è stata a base di droghe, ma questo non c’entra. I due attori si rinfacciano che uno drogava l’altro, che uno non si ricorda cosa faceva all’altro perché sotto effetti di stupefacenti, ma questo non c’entra. La droga certamente non giustifica gli atti di violenza di una o l’altra parte, ma rimane un dato reale nei fatti. Senza moralismi e scandali.



In fondo è un po’ come diceva Leopardi. A quel grido di aiuto e di insoddisfazione, leopardianamente o vascorossianamente parlando di Noia, che trasuda tra un piacere e l’altro, gli unici rimedi possibili sono “l’oppio” e “il generoso liquore“. Questo nei migliori dei casi. Nei peggiori purtroppo si arriva alla violenza. E non serve guardare oltreoceano. Eppure tutto ciò sembra lontano da chi guarda e giudica. Ci si scandalizza di ciò che sono arrivati a fare i due attori e ci si sente lontani da quel grido di insoddisfazione. Un po’ come da Leopardi quando nelle scuole insegnano la filosofia leopardiana con lo Zumbini del 1902 – “pessimismo storico” e “pessimismo cosmico” – facendo allontanare i ragazzi da uno dei poeti che con maggior enfasi e chiarezza ha espresso l’inquietudine e i sentimenti umani. Ci sente lontani da quel grido di rabbia e rancore di due persone che volevano solamente trovare qualcuno che si compiacesse di loro che li amasse tutti interi – che Johnny Depp tra l’altro non l’avesse già trovata? –

Amber Heard e Johnny Deep, ascoltate Giò di Tonno e guardate a Esmeralda

Eppure quel grido di Amber Heard e Johnny Depp appartiene a tutti. Un grido di noia e di insoddisfazione ma anche compiacimento, perdono e appartenenza. Per quanto si voglia vedere solo la mostruosità della violenza di quest’uomo e questa donna, si amavano, o almeno pensavano di amarsi. “Era amorevole, intelligente. Avevamo molte cose in comune, musica blues, buona letteratura“. Erano belli e ricchi, eppure l’uno non capiva e non sosteneva il grido dell’altro. Forse ascoltare quel grido è il primo passo per una via d’uscita, azzarderei dire il primo passo per una via di redenzione; per avvicinarsi all’altro e perché veramente quella violenza non ci appartenga.

Per finire, Depp sempre nel processo ha espresso che prima si sentiva Cenerentola e poi in un nano secondo è diventato Quasimodo. Non so se si sia sentito davvero Cenerentola, che personalmente trovo che sia una bellissima fiaba non perché incontra il principe azzurro, ma sembra che non sappia ancora cosa vuol dire sentirsi Quasimodo. Il luogo comune infatti vuole che sia un gobbo sfigato, e fine. Ma in quella bellissima e drammatica storia, Notre-Dame de Paris, è colui che ha vinto più di tutti. Per capirlo basterebbe ascoltare Giò di Tonno che canta: “Balla mia Esmeralda. Io vivrò con te, perché con te non è morire”.