Raffaele Cutolo, protagonista della puntata odierna di “Un Giorno in Pretura”, fu indagato per l’attentato ai danni di Vincenzo Casillo e Mario Cuomo, i quali videro esplodere la macchina sulla qual viaggiavano a Roma il 29 gennaio 1983. Casillo morì sul colpo, Cuomo invece riuscì a sopravvivere, ma perse gli arti inferiori. La verità circa l’accaduto rimase celata per diversi anni, a causa delle dichiarazioni contrastanti fornite dai collaboratori di giustizia della NCO, vale a dire Giovanni Pandico, Pasquale Barra, Mauro Marra, Pasquale D’Amico e Claudio Sicilia.
In particolare, Pandico e Barra dissero che la morte di Casillo fu voluta da Cutolo per un presunto tradimento subìto e messa in atto da un suo fedelissimo, Giuseppe Puca. Invece, Marra sottolineò a chiare lettere che nessun esponente di NCO sapesse chi fossero gli autori dell’agguato, tanto che si pensava si fosse trattato di un incidente, in quanto la bomba che trasportavano sarebbe dovuta esplodere nei giorni successivi nell’ambito di una ritorsione nei confronti di altri soggetti. Si susseguirono ulteriori versioni: alcune attribuirono la colpa a Cutolo, altre confermarono la teoria dell’incidente. Fu poi lo stesso Raffaele Cutolo a difendersi in tribunale dalle accuse, proclamandosi innocente e dichiarando di avere appreso che si sarebbe trattato per l’appunto di un evento del tutto accidentale, sottolineando come forse si sarebbe dovuto estendere il raggio d’indagine ai servizi segreti italiani.
RAFFAELE CUTOLO E L’ATTENTATO A CUOMO E CASILLO
Raffaele Cutolo, infatti, nell’ambito del suo racconto, sottolineò come l’ordigno fosse esploso nelle vicinanze di una sede dei servizi segreti e Casillo possedeva una tessera dei servizi con cui, benché latitante, entrava e usciva dalle carceri italiane per confrontarsi con altri affiliati. “Signor Presidente – dichiarò Cutolo –, desidero dire che io sono in carcere da 26 anni, ultimamente ho preso 10 ergastoli, quindi la mia vita deve finire in carcere, ma non desidero pagare per la morte dell’amico mio più caro… Comunque, vi ripeto, tutti mi hanno detto che è stato un incidente, se poi è un omicidio dovreste domandare a un certo apparato dello Stato, che gli ha rilasciato la tessera dei servizi segreti, e benché latitante entrava in tutte le carceri italiane. Però tutti mi hanno detto che è stato un incidente”. Soltanto anni dopo emerse la reale versione dei fatti, con il pentimento dei boss Pasquale Galasso e Carmine Alfieri, capi della cosiddetta Nuova Famiglia, che si autoaccusarono dell’omicidio, partorito dalla vendetta per l’assassinio precedente dei rispettivi fratelli, commissionato da Cutolo. E Cuomo? Morì alle 10.30 dell’11 ottobre 1990, quando un commando di sicari penetrò nel suo appartamento bunker e lo freddò a colpi di pistola. Cutolo dal carcere asserì: “Un bravo ragazzo, lo conoscevo da quindici anni. Peccato, se io non fossi stato in isolamento e lui mi avesse scritto, non avrebbe fatto questa fine”.