“L’accusa come tutti sappiamo è un’ipotesi, e in quanto tale va verificata. E devo dire che – nel caso di specie – l’accusa si presenta abbastanza inconclusa in fatto e includente in diritto”: sono queste le parole dell’avvocato Filippo Dinacci, nel corso della settantunesima udienza del procedimento penale Protocollo 45/19 noto come Processo Vaticano. Il legale, insieme con Ugo Dinacci, è il difensore di René Brülhart, ex presidente dell’Autorità di informazione finanziaria (Aif). A suo carico quattro capi di imputazione, riconducibili all’abuso d’ufficio, così come su Tommaso di Ruzza, già direttore della medesima Istituzione. “Richiedo l’assoluzione in via principale perché il fatto non sussiste e in via subordinata perché il fatto non costituisce reato”, spiega ancora l’avvocato.



I due legali hanno “ripercorso cronologicamente quanto accaduto per restituire oggettività ai fatti”, “fatti trascurati o non considerati adeguatamente”, cercando di trovare falle nelle accuse. Secondo queste, i vertici dell’Aif, oggi Autorità di supervisione e informazione finanziaria (Asif), non avrebbero favorito la consumazione dell’estorsione omettendo di intervenire per far conseguire a Gianluigi Torzi un indebito vantaggio, riporta VaticanNews. Secondo l’avvocato Dinacci Filippo, “le Istituzioni in Vaticano hanno un obbligo funzionale ad agire con una unità di intenti; quindi, abbiamo anche una forma di paradosso dell’accusa che contesta un abuso d’ufficio sul presupposto che i pubblici ufficiali accusati avrebbero osservato quel dovere di unità operativa che è imposta dalla legge fondamentale dello Stato”. Il legale ha parlato anche di “ricostruzioni documentalmente sconfessate”.



Processo Vaticano, i legali di René Brülhart: “Generosa richiesta di punizione”

La “generosa richiesta di punizione” che l’accusa ha chiesto per René Brülhart, precedentemente vice-presidente del gruppo Egmont, “si fonda sull’omesso presupposto” che lo stesso sia “intervenuto su richiesta della Segretaria di Stato”, ha spiegato il legale. Oltre al fatto che “nessuna emergenza dimostra un rapporto con Torzi e nessuna emergenza testimonia una volontà di favorirlo”. Secondo Filippo Dinacci, “il Vaticano senza l’imputato, sarebbe ancora tra i Paesi ad alto rischio di finanza” e “non sarebbe mai stata sdoganata una trasparenza finanziaria”. René Brülhart, secondo Ugo Dinacci, sarebbe stato messo a conoscenza delle “problematiche” di Londra da monsignor Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, il 7 marzo 2019, nel corso di un’udienza.



Sarebbe stata riferita all’imputato la debole posizione contrattuale dell’Istituzione e la necessità di non perdere la titolarità dell’immobile di Sloane Avenue. Così l’imputato avrebbe avviato “un’attività di intelligence” al “fine di fornire il massimo supporto alla Segretaria di Stato”. Pur non avendo “alcun potere di vigilanza” sulla stessa, né tantomeno competenze su “eventuali segnalazioni per attività sospette”, avrebbe allertato le Unità di Informazione Finanziaria (Uif) internazionali sulla vicenda del palazzo di Londra, contattando il National Crime Agency britannico e confrontandosi con lo studio legale Mishcon de Reya, che seguiva la vicenda per la stessa Segretaria di Stato, spiega VaticanNews. Stessa posizione per Tommaso Di Ruzza. I legali hanno rimarcato la “pena severa” richiesta “per la gravità della contestazione”. L’accusa nell’ambito del Processo Vaticano sarebbe “inverosimile” poiché “chi conosce il dottor Di Ruzza sa che egli ha dedicato la propria vita al servizio della Santa Sede, e si è dedicato in maniera costante allo sviluppo dell’attività di antiriciclaggio dell’Aif”.