Sono passati 20 anni dalla approvazione della legge 40 sulla PMA “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. L’anno dopo venne sottoposta a referendum abrogativo con quattro quesiti, ma fu confermata con pieno successo in un clima culturale altamente controverso. Fin dagli inizi, infatti, la legge ha subìto una serie di attacchi sistematici, volti a smantellarne gli aspetti strutturali più significativi, che potrebbero essere così sintetizzati: difendere il valore della ricerca (primo quesito), garantire la tutela della salute della donna (secondo quesito); sottolineare il valore della vita (terzo quesito), riconoscere il valore della famiglia (quarto quesito).
Nonostante il grande consenso popolare, negli anni successivi, con un’erosione progressiva, sono venuti meno alcuni dei meccanismi di difesa previsti originariamente dalla legge, per esempio il divieto della crioconservazione degli embrioni o il divieto di accesso alla fecondazione eterologa. Nel 2009 la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che dichiarava incostituzionale la limitazione del numero di tre ovociti inseminati per ogni ciclo di PMA. Oggi invece ogni medico ha la facoltà di stabilire il numero necessario di ovociti da fecondare, in base alle linee guida delle società scientifiche italiane e alle condizioni di salute della donna.
Nel 2014 è invece caduto il divieto di fecondazione eterologa dove uno o entrambi i gameti (spermatozoi o ovuli) utilizzati per la fecondazione non provengono dai genitori coinvolti nel processo riproduttivo, ma da donatore esterno, senza che questo percepisca alcun compenso. In generale, ogni cambiamento proposto dovrebbe sempre tenere conto del benessere del bambino, che non può mai essere considerato un genere di consumo. La sua tutela deve essere sempre al centro delle nostre decisioni.
Nello stesso tempo è possibile apprezzare la tenuta della norma almeno sotto due aspetti chiave: riconosce il valore della vita fin dal momento del concepimento e mantiene il divieto al ricorso della maternità surrogata. Dalla legge 40 l’attività di PMA inoltre è quasi raddoppiata, passando dai 63.585 trattamenti del 2005 ai 109.755 del 2022. Il tasso di successo si è triplicato: la percentuale di bambini nati vivi, che nel 2005 era dell’1,22%, nel 2022 è arrivata al 4,25%: in Italia sono 217.275 i bambini nati vivi grazie alle tecniche di PMA. Il dato arriva dal Registro Nazionale della PMA, istituito grazie alla legge 40/2004 che stabilisce una serie di regolamenti e limitazioni riguardo alla fecondazione assistita.
Oggi la legge subisce un nuovo attacco: dopo 9 anni dall’ultimo intervento la Corte costituzionale tornerà a esprimersi sulla legge 40/2004, in particolare sull’articolo 5 che prevede il divieto di accesso alle tecniche da parte di persone single. Il tribunale di Firenze ha, infatti, sollevato la questione di legittimità costituzionale nell’ambito di un procedimento portato avanti da Evita, una donna single 40enne di Torino, che aveva richiesto di poter accedere alla PMA in un centro di fecondazione assistita in Toscana. La donna è assistita dal team legale dell’Associazione Coscioni, coordinato da Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale dell’associazione, che fin dal primo momento ha lavorato per ottenere un capovolgimento radicale della norma. La giudice, a cui era stata sottoposta la richiesta, ha rimesso la questione alla Consulta, ritenendo che ci siano sufficienti motivi per dubitare della legittimità dell’articolo 5 della legge 40, che consente l’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita esclusivamente alle coppie di sesso diverso e non anche alle persone singole.
Per afferrare il senso di un’opposizione ampiamente diffusa nella opinione pubblica a questa richiesta occorre ribadire un principio fondamentale che parte primariamente dai bisogni del bambino e non da quelli della coppia. Il bambino, ogni bambino, come ha stabilito la Corte dell’Aia, ha diritto ad avere una famiglia, formata da una madre e da un padre, da un uomo e da una donna. Questo è lo status attuale della legge. Non esiste invece il diritto della coppia ad avere un figlio; può esistere, e di fatto è così ed è cosa molto buona, il desiderio di una coppia di avere un figlio, ma non il diritto. È il bambino ad avere il diritto ad avere un padre e una madre; diritto che sussiste anche quando la coppia si separa e occorre individuare le soluzioni più efficaci per continuare a garantire al bambino questo diritto, a meno che non si tratti di un padre violento e pericoloso.
È vero che un bambino può rimanere orfano per mille ragioni, ma ha avuto pur sempre un padre, ben conosciuto, che ha contribuito a definire la sua identità, oltre che al suo mantenimento. Una volta di più la donna si troverebbe da sola a far fronte a tutti gli oneri della maternità sia sul piano psicologico che su quello materiale. Paradossalmente graverebbero su di lei oneri tali da rendere ancora più problematico armonizzare i tempi di vita di famiglia con quelli legati alla vita professionale, con le conseguenze che è facile immaginare.
Nel caso della fecondazione single, ciò che si sancisce inevitabilmente però è soprattutto la irrilevanza della figura paterna, che ci sia o non ci sia per il bambino non cambierebbe nulla, mentre invece la differenza è radicale. L’uomo diventerebbe facilmente una sorta di strumento riproduttivo del tipo usa e getta… D’altra parte con la fecondazione concessa ai single si riaprirebbe la questione della maternità surrogata, perché chi garantisce che sia la madre e non il padre il genitore single che si fa carico del bambino non ancora nato né concepito? Per lo stesso motivo si potrebbero creare casi aberranti, come quelli di fatto già verificati in altri Paesi, di un uomo disposto a mettere sul mercato i propri spermatozoi per un numero illimitato di figli non riconosciuti come figli. Per questo auspichiamo che la Corte sia molto prudente nel suo pronunciamento e nello stesso tempo sia il più lungimirante possibile. Desiderare un figlio è cosa e buona e giusta e per disinnescare la sindrome delle culle vuote ci sarebbe bisogno di un diffuso risveglio del desiderio di genitorialità e non solo di maternità.
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