Mentre Nicola Zingaretti lega il Sì del Pd al referendum sul taglio dei parlamentari (voto il prossimo 20-21 settembre, ndr) alla nuova legge elettorale proporzionale – con la conferma anche dal M5s – uno dei padri fondatori del Centrosinistra e per anni Presidente del Partito Democratico come Romano Prodi fa dietrofront e annuncia il suo No. Dalle colonne del Messaggero, l’editoriale del “Professore” analizza il perché di un’opposizione ad una riforma votata in ultima lettura da tutto il “suo” Pd: «Sto in questi giorni cercando di capire perché ogni persona con cui mi trovo a parlare mostra un crescente disorientamento nei confronti del referendum per il quale siamo chiamati a votare nel prossimo mese di settembre», scrive Prodi, rimarcando la confusione nella quale è gettato l’elettore dopo che ancora realmente non è cominciata la campagna elettorale in questa strana estate Covid. «Si tratta di un disorientamento del tutto giustificato, perché il normale cittadino intuisce che il numero dei parlamentari non è il problema principale del crescente distacco fra il Paese e il Parlamento», sostiene l’ex Premier Csx, «Il dimagrimento del Parlamento può essere solo la conclusione di un necessario processo di riesame del funzionamento delle nostre istituzioni». Il punto secondo Prodi è che se da un lato è vero che ci sono troppi parlamentari, dall’altro il problema è come vengono selezionati e soprattutto quanto invece serva una nuova e ben più ampia riforma costituzionale.



PRODI: IL NO PER POI FARE UN’ALTRA RIFORMA

Una stroncatura delle attuali (e passate) leggi elettorali arriva sempre da Romano Prodi e sempre sul Messaggero: «l’elettore si è reso progressivamente conto che deputati e senatori non sono stati eletti, ma sostanzialmente nominati dai partiti e, come tali, coerentemente si comportano. Non avendo alcun necessario rapporto col territorio, non hanno ormai (salvo pochissime eccezioni) alcun legame organico con gli elettori, non mettono più in atto i periodici incontri con le diverse categorie o i diversi quartieri e paesi degli elettori e non hanno nemmeno un ufficio locale». In questo senso, secondo l’ex Presidente della Commissione Europea che un cittadino si senta rappresentato da un deputato ogni 90mila o 140mila abitanti, è roba di poco interesse: «Resta quindi difficile convincerci del fatto che la diminuzione del numero dei parlamentari sia il primo passo per portare i problemi del territorio al Parlamento e dal Parlamento al Governo». Secondo Prodi servono quantomeno altre 4 riforme costituzionali che potrebbero essere “oscurate” dal Sì al taglio dei parlamentari: «le funzioni delle due Camere, i lavori delle commissioni, i rapporti con le Regioni e il modo di operare delle commissioni e i rapporti fra Parlamento e Governo». È però nelle ultime righe dell’editoriale che arriva il suo dietrofront alla linea del suo stesso Segretario di partito, spiegato così: «Riconfermando la non primaria attenzione che vi attribuisco e pur riconoscendo che, dal punto di vista funzionale, il numero dei parlamentari sia eccessivo, penso che sarebbe più utile al Paese un voto negativo, proprio per evitare che si pensi che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire le altre, ben più decisive per il futuro del nostro Paese».

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