Si è svolto ieri pomeriggio al Mise il primo incontro del tavolo finalizzato alla produzione del vaccino anti-Covid in Italia. Un incontro “costruttivo e positivo” – così lo hanno definito al ministero – che ha visto la partecipazione del capo del dicastero Giancarlo Giorgetti, del presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, del presidente dell’Aifa Giorgio Palù e del commissario straordinario Domenico Arcuri. La riunione sarà aggiornata a mercoledì prossimo 3 marzo per verificare la possibilità concreta di produrre in sicurezza vaccini anti-Covid in siti produttivi italiani. In particolare, sarà necessario appurare l’individuazione di tutte le componenti produttive compatibili con la realizzazione di vaccini e in un orizzonte temporale congruo con le esigenze del Paese per superare la fase pandemica.



Si è convenuto, a tal fine, di avviare la costruzione di un polo nazionale pubblico-privato per realizzare nel medio lungo periodo un contributo italiano in questo ambito: un polo nazionale che garantisca l’Italia contro ulteriori tagli nella consegna di sieri da pare delle aziende farmaceutiche. Il Governo ha ribadito la totale disponibilità di strumenti normativi e finanziari per raggiungere l’obiettivo della produzione di vaccini in Italia.



Dopo una manifesta e ragionevole cautela, il Presidente Scaccabarozzi ha assicurato la massima collaborazione dell’industria italiana ed è parso soddisfatto degli intendimenti col Ministro Giorgetti. Non si tratta naturalmente di un’operazione a breve termine – per l’avvio di una produzione di questo tipo a un’azienda servono minimo 5-6 mesi -, ma la cosa più importante è che la “ricognizione” avviata da Farmindustria non è caduta nel vuoto: in Lombardia, Lazio e Puglia vi sono aziende che si sono fatte avanti offrendo la loro disponibilità a valutare in maniera concreta modi e tempi per un’eventuale collaborazione col Governo.



Esistono punti in Italia dove immaginare la riconversione degli impianti per la produzione di vaccini: il nodo è la scarsa presenza di bioreattori, si sta verificando anche la possibilità di produrli ex novo.

Come abbiamo più volte rimarcato, il comparto farmaceutico italiano è apprezzato nel mondo ed è una delle eccellenze della nostra industria. È uno dei nuclei imprenditoriali del Paese, simbolo della nostra attrattività scientifica, certificata da eccellenze universitarie e fondata su una pluralità importante oltre che ben integrata: piccole, medie e grandi aziende italiane accanto a filiali di multinazionali, titolari di prodotti etici e prescrivibili e di farmaci da banco senza obbligo di prescrizione. Sono imprese che, a prescindere da proprietà e dimensione, si muovono in modo molto dinamico e agile, danno vita a prodotti eccellenti e sono abilissime a inserirsi dentro le grandi catene del valore. Parliamo di un mondo che è molto addentro i processi innovativi ed è in continua trasformazione: una filiera importantissima che comprende anche le produzioni chimiche per le materie prime farmaceutiche e una competenza distintiva mondiale nella progettazione e costruzione di impianti, dislocata prevalentemente nella nostra Silicon Valley emiliana. Potremmo continuare anche con la leadership nella produzione di contenitori in vitro per soluzioni iniettabili e per vaccini.

Come avevamo ipotizzato un mese fa, l’Italia ha quindi competenze e capacità per contribuire alla produzione mondiale dei vaccini dentro la campagna vaccinale più importante della storia. La bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza predisposta dal governo Conte II prevedeva risorse per l’acquisto dei vaccini e per la ricerca; forse qualche ragionamento circa un upgrade della nostra capacità produttiva poteva essere fatto. L’occasione è anche quella di sviluppare non solo la produzione farmaceutica del vaccino ma anche di macchinari. A questo servono le risorse del Recovery Plan, per investire in innovazione e rispondere ai nuovi bisogni: vaccini, macchine e lavoro.

Twitter: @sabella_thinkin

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