È l’età “peggiore”, si sa. Non più bambini, non ancora adulti. Una via di mezzo: adolescenti in cerca di identità, schiacciati tra il desiderio di liberarsi dalle pastoie familiari e l’anelito a “farsi da soli” per “sentirsi grandi”.
Fenomeno sempre esistito, sia chiaro, ma che in un’epoca segnata dal “tutto e subito”, dal rifiuto di ogni e qualsiasi autorità che non sia stata scelta (ma a 15-16 anni si è in grado veramente di scegliere?), dal trionfo di un malinteso senso di libertà, il mancato riconoscimento del proprio e dell’altrui ruolo nella società può generare mostri.
“Non basterà punire i colpevoli soprattutto perché parliamo nella quasi totalità dei casi di minori i quali non hanno coscienza delle conseguenze dei loro atti” ha scritto Silvio Guerra, vicedirettore della scuola Charles de Foucauld di Parigi, su queste colonne.
Proprio da Oltralpe è giunta ieri notizia che in un istituto del nordovest, una scuola cattolica di Saint-Jean-de-Luz, un’insegnante di liceo è stata accoltellata a morte da un alunno. Caso simile, ma per fortuna con conseguenza meno gravi, avvenuto in Normandia a Caen lo scorso 13 settembre. Allora il protagonista aveva 15 anni, adesso uno in più. Non possiamo entrare nel merito dei due fatti di cronaca semplicemente in quanto non ne possediamo tutti gli elementi. Possiamo, invece (anzi, dobbiamo) prendere atto che la figura docente ha disceso da un pezzo la scala della rispettabilità sociale, in Francia come in Italia e altrove.
Messo in ombra nel breve volgere di mezzo secolo da un sistema culturale che è partito dal venir meno della stabilità sociale ed antropologica della famiglia per passare attraverso la rivoluzione ideologica sessantottina e approdare infine al potere dilagante dei social, alla/al docente è riservato oggi il ruolo sempre più marginale dell’adulto che, proprio perché imposto dal sistema e non scelto dal ragazzo, “appartiene ad un’altra epoca” e, in quanto tale, da contestare.
Del resto, se i ragazzi di oggi (già ad iniziare da quando lasciano la scuola elementare) si imbevono per ore e ore di personaggi tatuati dalle orecchie ai piedi, interpreti di canzoni dalla musica assordante e dal testo demenziale, influencer autoreferenziali che tutto contestano e tutto denigrano, come può la scuola remare controcorrente, come può l’insegnante cercare di “lasciare un segno” capace di contrastare la marea qualunquista che plagia i giovani e non solo loro?
Intendiamoci: gli adolescenti non sono tutti “brufoli e istinto” ed il corpo docente non è fatto tutto di gente motivata, preparata, capace di essere protagonista di quello che un tempo non tanto lontano veniva riconosciuto come “il mestiere più bello del mondo”. Non ci possono essere leggi, provvedimenti, finanziamenti per costruire edifici moderni ed aule efficienti in grado di creare educatori degni di questo nome. Anche cinquanta o cent’anni fa esistevano insegnanti meno bravi di altri, ma che per il compito socioculturale che ricoprivano erano almeno rispettati. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma è evidente che tale rispetto è andato a farsi friggere. Tra i genitori, gli studenti, la pubblica opinione in generale. E poco o nulla hanno fatto i governi della Repubblica democratica fondata sul lavoro per invertire la rotta (leggi: immissioni in ruolo a dir poco farraginose, promozioni pressoché obbligatorie, stipendi al minimo). Ovvio che da qui ad accoltellare un docente ne passa, ma gli episodi di violenza in tal senso si sono moltiplicati, come abbiamo anche sul Sussidiario ha registrato più volte.
Per invertire la rotta prima che sia troppo tardi non serve mettere pezze su un vestito logoro, per esempio aggiungendo il sostantivo “merito” al nome del ministero dell’Istruzione. La scuola va rifondata da cima a fondo, ma per farlo – rubiamo da De André – “ci vuole tanto, troppo coraggio”. Quello che oggi hanno in pochi.
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