Ancora una volta uno spunto di cronaca scolastica ci sollecita a proporre alcune riflessioni. La vicenda è quella della docente siciliana – Rosa Maria Dell’Aria – sospesa dall’insegnamento per 15 giorni, a quanto parrebbe per non aver vigilato sui contenuti di un video in cui alcuni studenti associavano le leggi razziali al decreto sicurezza e all’immagine del ministro Salvini.



La riflessione che ce ne viene non riguarda tanto l’episodio in sé, quanto i modi della narrazione pubblica: che cosa sappiamo veramente di questa vicenda? In realtà molto poco. I fatti sicuri sono minimi e in dubbia relazione reciproca. Di certo abbiamo la sospensione della docente: quindici giorni, con stipendio dimezzato. Un provvedimento in sé molto grave che – norme alla mano – dovrebbe essere comminato per mancanze ben più rilevanti di quella attribuita alla docente. Tutto questo sempre ammesso che esista, nell’ipotesi di mancato controllo dei contenuti di un prodotto didattico, un qualche profilo di responsabilità disciplinare (cosa di cui dubitiamo fortemente): di norma infatti quando si parla di “vigilanza” si fa riferimento a un’attività di controllo volta a garantire l’incolumità fisica degli studenti, non la correttezza o l’opportunità del contenuto di elaborati e produzioni didattiche.



Ma torniamo ai fatti noti che, come dicevamo, sono ben poca cosa. Per il resto, infatti, le cronache menzionano il tweet di un attivista di destra che tirava in ballo direttamente il ministero (“Una professoressa ha obbligato dei quattordicenni a dire che Salvini è come Hitler perché stermina migranti. Al Miur hanno qualcosa da dire?”), una dichiarazione via Facebook in cui il sottosegretario ai Beni culturali Lucia Borgonzoni chiedeva il licenziamento della professoressa, e poco altro.

Quale sia il nesso tra queste dichiarazioni e la sospensione della docente, non lo sappiamo: a dire la verità, non sappiamo neanche se un nesso esista o se invece la decisione di avviare una verifica ispettiva sulla professoressa Dell’Aria fosse dovuta ad altre motivazioni, slegate da tweet e post. Le scarne dichiarazioni rilasciate alla stampa dal dirigente dell’ufficio scolastico provinciale di Palermo, infine, nulla aggiungono sul merito della vicenda: né avrebbe potuto essere diversamente, perché gli atti delle verifiche ispettive e i provvedimenti disciplinari sono documenti riservati, il cui contenuto non può essere divulgato, e proprio a tutela dei diretti interessati.



E veniamo quindi al punto della questione: la scarsa o nulla propensione di chi ha raccontato mediaticamente questa vicenda a separare i fatti dalle opinioni. La narrazione giornalistica si è incanalata verso una rappresentazione omogeneizzata, in cui la docente è la vittima e poteri non meglio determinati sono gli oppressori. Una scelta narrativa funzionale non a una comprensione piena dei fatti – che nessuno si è preoccupato di approfondire –, ma a suscitare interesse nella pubblica opinione tramite la facile molla dell’indignazione.

Con ciò, non stiamo dicendo che le cose non si siano svolte come raccontato da testate e siti web: stiamo solo dicendo che nessuno ci ha dato abbastanza informazioni per elaborare un giudizio. In effetti, sulla base di quanto è possibile evincere dai tanti articoli pubblicati negli ultimi due giorni, nessuno ha letto il dispositivo che sospendeva la docente dall’insegnamento; nessuno ha letto la relazione ispettiva che è alla base del provvedimento disciplinare; nessuno ha conoscenza diretta delle motivazioni che hanno portato alla decisione dell’ufficio scolastico provinciale di Palermo. In buona sostanza, nessuno ha strumenti a sufficienza per valutare se la decisione sia stata fondata e doverosa, oppure arbitraria o peggio intimidatoria.

Colpisce, in tutto ciò, il fatto che nessuno dei giornalisti che ha intervistato la professoressa Dell’Aria le abbia chiesto di vedere copia del provvedimento disciplinare per poter verificare, carte alla mano, le ragioni della sospensione: tutti si sono invece limitati a raccogliere il punto di vista della docente e del suo avvocato. Un punto di vista di parte, come è giusto che sia: ma che proprio perché di parte avrebbe dovuto essere verificato in maniera puntuale, per distinguere i fatti dalla rappresentazione che ne viene proposta e mettere in condizione l’opinione pubblica di formarsi un giudizio fondato su dati di realtà il più possibile saldi.

È difficile dire se le cose siano andate effettivamente come sostiene la professoressa Dell’Aria. Di certo, sarebbe drammatico se davvero un’insegnante avesse ricevuto un provvedimento disciplinare, anche molto meno grave di quello a lei comminato, per le ragioni fin qui emerse. La speranza è che qualche bravo giornalista provi a scavare un po’ di più e ci aiuti a comprendere meglio questa vicenda, prima che – troppo rapidamente – noi tutti si passi alla prossima indignazione.