Oggi, quando si pensa al “commercialista”, il pensiero si rivolge verso lo stereotipo del professionista sommerso di carta davanti alla calcolatrice, capace di interpretare leggi e compilare moduli incomprensibili. Basti considerare che, qualche tempo fa, il modello della dichiarazione dei redditi venne definito “lunare” e che, per l’anno 2019, le sole istruzioni “base” e “generali” per compilare i modelli di persone fisiche, società di capitali e di persone contavano 1.156 pagine. Lo stereotipo resiste ancora oggi nonostante nel 1998, con il debutto della dichiarazione telematica, il commercialista sia diventato il primo professionista “digitale”.
Il progresso degli studi professionali è proseguito incessantemente e il commercialista ha preso confidenza con temi sconosciuti ai più, quali digitalizzazione e informatizzazione, anche a seguito dell’azione invasiva e legislativa del ministero delle Finanze che, grazie a internet, ha dematerializzato i rapporti tra contribuente e Stato.
Il fine di raccogliere i dati fiscali dei contribuenti ha giustificato nel tempo l’ampliamento della platea dei soggetti abilitati a svolgere mansioni prerogative da sempre del solo commercialista, il cui ruolo è stato così progressivamente delegittimato e la cui attività è stata spostata al centro di una spietata concorrenza da parte soggetti che poco avevano (e hanno) a che fare con la fiscalità. A solo titolo di esempio ricordo i geometri, gli agronomi, i mediatori, i Caf e le organizzazioni sindacali nonché “coloro che esercitano abitualmente l’attività di consulenza fiscale”: tutti questi soggetti sono stati parificati ai commercialisti come “incaricati della trasmissione telematica delle dichiarazioni mediante il servizio telematico Entratel”.
Per il commercialista, l’ammissione all’Albo prevede titolo di studio, esame di Stato, praticantato e formazione continua obbligatoria: così non è per altre categorie professionali ove l’ammissione agli Elenchi prevede solo percorsi di studio o di lavoro con profili molto più inclusivi. Questo radicale cambio di prospettiva ha equiparato idealmente, ma erroneamente, la figura del commercialista a quella dei sopra citati soggetti che hanno cercato di assimilare “per osmosi”, senza ovviamente riuscirci, l’autorevolezza e la competenza del suo lavoro.
Il cliente tradizionale del commercialista (la piccolissima impresa e il mondo delle partite Iva) ha quindi progressivamente abbandonato lo studio tradizionale a favore di strutture anonime spersonalizzate (finanche completamente digitali) che hanno spostato inevitabilmente la concorrenza sul criterio del “prezzo”, anziché su quello della preparazione professionale. Il “fisco telematico” ha infine dato l’ultima spallata agli studi sottraendo loro progressivamente lavoro e fatturato: il 730 precompilato e la fattura elettronica ne sono gli esempi più evidenti.
L’argomento è di particolare rilevanza sol considerando che il mercato degli studi dei commercialisti consta, in Italia, di circa 120.000 iscritti agli Albi, di cui il 75% ha meno di 5 componenti di studio e realizza meno di 500.000 euro di fatturato. La maggior parte di tali professionisti non si riconosce nelle realtà aggregative esistenti poiché trova la propria area di confort nell’autonomia gestionale e nel pacchetto clienti, spesso costruito con enormi sacrifici.
In un tale scenario il commercialista per rinvigorire il proprio ruolo di competente riferimento per l’azienda e il cittadino si sta indirizzando sempre più diffusamente verso formule di collaborazione professionale di tipo aggregativo. In tal modo, stante la vastità dell’ambito fiscale e tributario e la moltitudine degli adempimenti imposti dall’Agenzia delle entrate, il professionista, non più solo, può puntualmente soddisfare la molteplicità e l’eterogeneità delle richieste del mondo delle imprese e dei cittadini.
Se è vero, però, che le grandi organizzazioni hanno, da un lato, il grande vantaggio di sopperire all’eterogeneità della domanda di servizi e di competenze con la multidisciplinarietà delle competenze interne, dall’altro certamente esaltano l’immagine di dominus/azionista/brand a scapito dell’individualità e dell’autonomia del commercialista, tutto ciò contrastando con la scelta di indipendenza propria del “libero professionista”.
È con queste premesse che, quando ho ideato BePrime24, ho riflettuto a lungo sui principi cardine che seguono, al fine di provare a tracciare la strada del commercialista del futuro:
1) il Commercialista deve essere ri-collocato nel suo luogo “naturale” di centro-di-relazione verso il quale le imprese fanno convergere domanda di consulenza e di servizi;
2) esistono alcune condizioni necessarie per la sopravvivenza dello studio professionale:
– Dimensione: gli studi dei Commercialisti per competere – e sopravvivere – devono aumentare le proprie dimensioni.
– Organizzazione: la multidisciplinarietà, intesa anche come specializzazione, è la strada per garantire ai clienti un’ampia offerta di servizi che deve essere strutturata con modelli “imprenditoriali”.
– Comunicazione: per raggiungere gli obiettivi di crescita lo studio deve informare il mercato e i potenziali clienti delle competenze possedute e delle soluzioni offerte, attraverso la gestione professionale delle attività di promozione e marketing analitico, strategico e operativo e campagne di comunicazione mirate che aumentino la visibilità, la riconoscibilità, e accresca la percezione di credibilità.
– Indipendenza: deve essere tutelata l’indipendenza economica e decisionale del commercialista. È contraddittorio sostenere che il commercialista possa conservare la qualità di “libero professionista” all’interno di qualunque attuale realtà aggregativa attuale (associazione, Stp, società di revisione…).
– Network: la fiducia “professionale” tra colleghi deve essere costruita attraverso reali momenti di formazione e non può essere imposta con vincoli di partenariato contrattuale legati, ad esempio, al pacchetto clienti o al fatturato dello studio.
BePrime24 fonde tutti i principi sopra elencati e si propone proprio come realtà aggregativa unica, con parametri formali di eticità “certificati” e garantisce al commercialista un network esclusivo con l’autonomia e la libertà di scelta di decidere quando (e quanto) accorciare le distanze con i propri colleghi, con i quali condivide momenti di formazione guidata da esperti e costruisce le fondamenta di una fiducia “condizionata” dall’esistenza di principi condivisi e attraverso una seria e documentata selezione all’ingresso.
Il commercialista, insieme al “network etico”, ha maggiori probabilità di successo nella competizione del mercato, ove può cogliere un’opportunità di crescita e di rilancio presentandosi come realtà omogenea ma multidisciplinare.
Con una squadra di colleghi il commercialista può, così, ambire a orizzonti di crescita altrimenti irraggiungibili.