Stando alle cronache e ai borderò, sembra che i tre film italiani che fanno sempre il tutto esaurito ogni volta che vengono riproposti, in Italia o all’estero, siano 8½ di Federico Fellini, uno dei più grandi film di tutti i tempi, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto di Lina Wertmüller e Profondo rosso. Il più celebre film di Dario Argento, e tra i suoi più belli, è tornato in sala in quest’estate ricca di film nuovi e di restauri.
Il classico del giallo italiano del 1975 è tornato appunto in versione restaurata in 4K per ricordare soprattutto agli spettatori più giovani l’impatto che un film del genere ebbe all’epoca e per gli anni a seguire sul pubblico: scritto da Argento con Bernardino Zapponi, il film segue il canovaccio di un giallo classico, con un omicidio misterioso (una medium uccisa nella propria abitazione), un testimone involontario che finirà nell’intrigo e si ritroverà a indagare (David Hemmings), una curiosa giornalista che lo aiuta (Daria Nicolodi) e una serie di omicidi che metterà la coppia sempre più in pericolo.
La sceneggiatura conta fino a un certo punto, perché Profondo rosso è un film di passaggio del cinema di Argento e del genere in Italia: partendo dalla lezione di Mario Bava (più che di Hitchcock, come si diceva all’epoca), che aveva inventato delle coordinate poi copiate da tutti con film come Sei donne per l’assassino e Reazione a catena, Argento con questo suo quinto film cominciò a spostarsi dal thriller – più o meno – razionale all’horror, calcando la mano con gli omicidi resi efferati e scioccanti dagli effetti speciali di Germano Natali e Carlo Rambaldi, ma soprattutto segnò un forte cambio di stile, dando uno spazio inconsueto alla tecnica e all’estetica al posto della logica del racconto, che infatti nei film successivi, da Suspiria in poi, finirà per sparire.
Se all’epoca questo cambio fece storcere più di un naso, col senno di poi si è rivelato l’arma vincente di Argento: la sconvolgente precisione estetica, la cura maniacale della fotografia di Luigi Kuveiller, tanto nell’illuminazione quanto nei movimenti di macchina che ancora oggi paiono tra i più belli di tutto il cinema italiano, le scenografie di Giuseppe Bassan che reinventano lo stile liberty e l’art decó tra Roma, Torino e Perugia, il montaggio forsennato e inventivo di Franco Fraticelli che costeggia le immagini subliminali e crea un connubio inaudito con la colonna sonora di Giorgio Gaslini e i Goblin, usata in un modo sperimentale mai visto o sentito prima, “un assalto deliberato ai nervi dello spettatore” come riporta il Dizionario Mereghetti.
Argento rivendica le ragioni del cinema prima di ogni altra cosa ed è questo, la somma degli elementi sopra menzionati, a farne un film che è diventato la bandiera di un intero movimento cinematografico, che ha conquistato legioni di fan nel mondo: perché il modo in cui i racconti si declinano, le tracce narrative, i nessi logici, l’approfondimento dei personaggi invecchiano presto e Argento sembra rendersene conto, le caratterizzazioni secondarie (come il poliziotto di Eros Pagni) sembrano un po’ fuori luogo e alcune battute oggi sono stonate.
Quindi, l’approccio di Argento è sensato, in nome di un cinema pienamente nello spirito dei suoi tempi, spirito che non è molto cambiato fino a oggi, di totale coinvolgimento sensoriale dello spettatore (il ’75 è anche di Lo squalo, il film che ha cambiato le regole del gioco hollywoodiano): lo shock forse era fine a sé stesso e lo spettatore viene riportato al centro del gioco come in un circo, ma almeno in Profondo rosso il livello di consapevolezza filmica e godimento estetico è ai suoi apici. D’altronde, non era Ejszenstein a dire – e Argento da critico lo sapeva bene – che il cinema era questione di attrazioni, come al circo, di shock da infliggere allo spettatore affinché cuore e cervello si ridestassero?
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