Nei giorni scorsi, tra un servizio e l’altro sul Festival di Sanremo, qualcuno ha anche ricordato il dramma delle foibe e dei profughi istriani. Si sottolinea spesso che i Titini eliminarono anche molti antifascisti e partigiani, naturalmente non di formazioni legate al Partito Comunista. Capisco ora perché la mia maestra di prima elementare, profuga istriana, ci faceva pregare “contro i comunisti”, destando non poche perplessità anche tra i genitori non comunisti. Allora questa povera gente, soprattutto in alcune regioni, non fu bene accolta. Del resto, si sa, l’Italia usciva stremata dalla guerra e non tutti erano così pronti a dividere la torta del piano Marshall.
All’inizio della guerra in Ucraina, in generale, nel nostro Paese di profughi ne abbiamo accolti molti, soprattutto donne e bambini. Ora molti, anche se la guerra è tutt’altro che finita, hanno preferito tornare a casa, perché la famiglia potesse ricongiungersi. Per la verità non tutti gli adolescenti, che nel frattempo hanno compiuto diciotto anni, sono già tornati: li aspettava un posto in trincea dove, come moltissimi loro coetanei russi, non molti avevano la voglia di andare.
Ora qualcuno comincia a pensare: che fine faranno i sopravvissuti di Gaza? Chi li vuole, visto che a Gaza ci sono tante macerie e ben pochi, almeno per ora, hanno il coraggio di ricostruire lì? L’Egitto ha mandato i carrarmati al confine, non perché tema una assai improbabile invasione di Israele, ma perché non ne vuole sapere di accogliere migliaia di profughi disperati. Gli altri Paesi islamici neppure, e soprattutto, quelli che sostengono apertamente Hamas, non vogliono certo ospitarli, anche perché fino a che resistono a Gaza sono una spina nel fianco di Israele, ma se arrivano nei loro Paesi la spina se la beccano loro.
Ci sarebbero le migliaia di manifestanti pro Palestina disposti a protestare contro Israele, contro l’America e contro la Meloni, ma che difficilmente, credo, sarebbero disposti a trasformare le loro case e i loro centri sociali in rifugi per gli scampati di Gaza. Vuoi vedere che anche i palestinesi finirebbero ancora sulle spalle delle Caritas ed affini? E i 30mila dipendenti palestinesi dell’ONU a quale nuovo lavoro saprebbero adattarsi in favore dei loro fratelli? La sostanziale inerzia del mondo ancora una volta sta giocando sulla pelle della povera gente, e magari qualcuno sta già pensando come arricchirsi sui loro bisogni.
Mercoledì mattina, per iniziativa di uno studentino, sono stato chiamato a tenere un incontro durante la cosiddetta “cogestione” al Berchet. In un sotterraneo affollato di ragazzini che sedevano scomodamente per terra, ho parlato a una platea dove non si sentiva volare una mosca, segno di una attenzione che non c’è più neanche quando predichi.
Devo confessare che all’applauso finale, non sollecitato da alcuno, ho proprio pensato: questi ragazzini molto ignoranti (almeno sulla storia della fine dell’Unione Sovietica e sulle sue conseguenze sulla vita della gente), ma desiderosi di sapere la verità, sono il vero futuro del nostro lavoro. Finché ci siamo. I loro adulti, spesso più impegnati in lotte ideologiche che poco hanno a che fare con la situazione di questi ragazzi, lasciamo pure che si diano da fare per giustificare i loro ruoli. Questi ragazzi, coi loro telefonini, nessuno dei quali mercoledì ha suonato, hanno bisogno di conoscere la verità, compresa quella con la V maiuscola.
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