L’emergenza ucraina si sta manifestando in tutti i suoi aspetti. C’è l’urgenza di sistemare chi arriva, normalmente stravolto, dopo un lungo viaggio, spesso avventuroso, qualche volta anche segnato da esperienze terribili. Già, l’urgenza di sistemarli… Parrocchie, famiglie si offrono di accogliere persone, ma proprio incontrandole cominciano a trovare molte difficoltà.
Non basta mettere a disposizione delle camere e, in questi momenti di rincari, fare una bella spesa per i nuovi ospiti. A parte risolvere tutte le questioni burocratiche, rese complesse anche dalle ovvie differenze linguistiche, comincia a presentarsi il caso di buona gente (italiana) che esce alle 8 (o anche prima) per andare a lavorare e rientra solo di sera. E chi sta con gli ospiti ucraini? I bambini, prima o poi, dopo aver imparato un pochino l’italiano, ma soprattutto dopo aver superato lo shock di essere stati catapultati in una società molto diversa dalla loro, possono, almeno per qualche ora, essere mandati nelle nostre scuole. Ma le mamme? E le nonne? Sono destinate a rinforzare il plotone delle badanti e delle domestiche già in servizio da noi?
Molte di loro hanno qualifiche professionali di un certo livello, sono disposte anche ad adattarsi, ma sarebbe un peccato, anche per noi, perdere questo patrimonio di esperienze, a volte accumulate per anni. Paradossalmente sarebbe più facile trovare un’occupazione per sportive professioniste piuttosto che per medici, avvocati e ingegneri.
C’è poi la questione che molte di loro sono convinte che prima o poi “tutto si risolva” e non vedono l’ora di tornare a casa. Ammesso che la loro casa ci sia ancora. E così a noi, oltre che condividere l’auspicio che “tutto si risolva”, si pone il compito, da cristiano la chiamerei vocazione, non solo di sistemarli, ma anche di accoglierli. Cioè farli partecipare alla nostra vita, di famiglia, di comunità, di gruppo di amici che in questo momento se ne trovano qualcuno in più.
Va bene che i piccoli condividano con i nostri la scuola, ma sarebbe bello che condividessero anche i momenti di gioco. E quello che, peraltro, in qualche caso ho già visto accadere. In questo settore alcuni nostri adolescenti ci fanno da maestri. I loro coetanei li hanno già incontrati, inseriti nel loro giro di amici. Forse, in qualche caso, è nata anche qualche simpatia “speciale”.
Un invito a cena nella propria famiglia vale più di una buona spesa, comunque necessaria, regalata loro. A questo ci hanno già pensato Raffaella e Costanza. Vedere insieme una partita di calcio, andare in gita al lago, assistere insieme ad un concerto. Perché no, anche pregare insieme per la pace che è un interesse comune (in comune anche con Gesù). E poi, quando sarà il momento, riaccompagnarli a casa, anche se, per il momento, è forse sconsigliabile scegliere l’Ucraina come luogo delle vacanze.
Per ora, scusate, devo chiudere. Mi aspetta il pullmino della parrocchia e un gruppo di bambini ucraini. Stiamo per andare a visitare una fabbrica di cioccolato fuori Milano.
Chi l’ha detto che solo i bambini di Porta Venezia, e il loro parroco, sono “sladkaieski” (golosi)?
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