Un argine quotidiano contro la povertà realizzato anche grazie ai fondi del 5 per mille. Unità di strada e cucine mobili che distribuiscono pasti caldi ai senza dimora, market solidali per aiutare le famiglie in difficoltà, pacchi alimentari per chi non riesce ad arrivare a fine mese. Sono diversi i servizi che la Fondazione Progetto Arca mette ogni giorno, da quasi trent’anni, a disposizione dei più poveri in varie città italiane.
Servizi che vengono garantiti in totale autofinanziamento. In questo ambito il 5 per mille che i contribuenti scelgono di destinare senza alcun costo ma semplicemente inserendo, al momento della dichiarazione dei redditi, il codice fiscale della onlus beneficiaria (quello di Progetto Arca è 11183570156), diventa uno strumento di aiuto fondamentale. «Senza questi fondi – spiega Alberto Sinigallia, presidente di Progetto Arca – sarebbe difficile assicurare questi servizi perché la povertà alimentare è in grande crescita e Comuni, Regioni e Stato in tale ambito non intervengono. L’hanno fatto solo in parte e in via eccezionale nel periodo del Covid con un aiuto alle famiglie».
La vostra esperienza è nata trent’anni fa da un gruppo di volontari che collaborava con fratel Ettore nell’assistenza dei senza dimora a Milano. Come si è sviluppata?
«In tutti questi anni siamo sempre stati in strada per offrire un pasto a queste persone. Più di recente abbiamo creato alcune cucine mobili per portare i pasti caldi in strada dove loro dormono. È un progetto molto importante perché oltre al pasto riusciamo a stabilire una relazione per provare a proporre una via di uscita dallo stato di indigenza. Abbiamo case dormitorio che ogni giorno accolgono oltre mille persone. Per noi è fondamentale anche l’integrazione lavorativa, abitativa, sociale per uscire dalla condizione di indigenza. È impensabile che lo Stato con il suo sistema di welfare possa intervenire a sostenere le persone che in misura crescente cadono in povertà».
Quindi il vostro intervento arriva a un livello nel quale nessuna istituzione pubblica è presente?
«È così, la sfida è star vicino a chi finisce in strada, cercare di recuperarlo per evitare che la situazione si cronicizzi. Dopo che una persona vive in strada da anni diventa, infatti, molto più difficile farle seguire un percorso di reinserimento. Ma non perdiamo neanche di vista le persone che stanno per entrare in povertà: attraverso le segnalazioni del Comune, dei custodi sociali che entrano nelle case, abbiamo attivato i social market solidali che sono piccoli supermercati che danno la spesa gratuitamente ma provvedono anche ad altre necessità come i libri e tutto quello che serve ai ragazzi per la scuola o i pannolini e il latte in polvere per i bambini appena nati. Le famiglie che hanno molti figli sono spesso quelle più a rischio povertà».
Quali sono le dimensioni della povertà oggi in Italia?
«Secondo i dati Istat, negli ultimi anni in Italia il numero di famiglie che vivono in uno stato di povertà assoluta, cioè che non si possono permettere le spese minime per condurre una vita accettabile, è salito in maniera esponenziale. Una persona su 10 vive in povertà. E i minori in povertà assoluta sono addirittura 1,4 milioni, ovvero il 14,2 per cento della popolazione minorile. Perciò poniamo grande attenzione alle famiglie più fragili cercando di aiutarle prima che la situazione diventi difficilmente recuperabile. Per esempio, aiutandole per evitare che vengano sfrattate perché non possono pagare l’affitto».
Avete registrato un aggravamento significativo delle situazioni di povertà dopo il Covid?
«Sì, almeno un 20 per cento in più. Perdite di lavoro e separazioni (che sappiamo sono aumentate molto a causa della pandemia) hanno contribuito ad allargare la forbice tra ricchi e poveri. E anche per il futuro non vediamo una linea che scenderà».
La presenza di realtà come la vostra in questo caso può giocare un ruolo decisivo nell’evitare che la situazione precipiti?
«Non certo per 6 milioni di persone quanti sono i poveri oggi in Italia. Noi siamo una goccia nel mare, ma certo come noi ci sono molte altre realtà che si stanno muovendo per aiutare chi si trova in povertà. In questo quadro il 5 per mille è fondamentale rispetto a questi interventi. Lo destiniamo completamente a questi servizi che vengono portati avanti in totale autofinanziamento, non sono sostenuti da nessuna istituzione. Oltre al 5 per mille ci sono i nostri donatori e le aziende che ci sostengono. Poi va considerato che sulla povertà alimentare le istituzioni non fanno nulla perché in questi anni le risorse sono state tutte convogliate sul reddito di cittadinanza».
Il numero dei contribuenti che hanno scelto di destinare il 5 per mille a Progetto Arca è in crescita?
«Sì per noi è sempre in crescita. Da questo punto di vista farci conoscere e far vedere le iniziative concrete in cui siamo impegnati, è molto importante. Oggi siamo arrivati a oltre 7400 cittadini che destinano il 5 per mille a Progetto Arca. È un aiuto molto grande che oltre tutto non ha alcun costo per il contribuente».
È anche uno strumento con cui il cittadino può scegliere.
«Sì, è un modo per riconoscere il ruolo svolto dal basso dalle diverse organizzazioni e sostenerle».
Ci sono nuovi progetti che vorreste realizzare grazie anche ai fondi del 5 per mille?
«Il nostro obiettivo è un potenziamento delle unità di strada ma soprattutto dei social market perché come dicevo permettono alle persone di non cadere nello stato di indigenza. Nel momento in cui una famiglia perde la casa, la mamma coi bambini va nelle comunità ma il padre non ci può andare e diventa un senza dimora. Un costo sociale enorme».
Puntate quindi soprattutto su un’azione preventiva?
«Sì, siamo già presenti in diverse città con i social market, a Bari, Roma, Napoli, Ragusa, Milano, Rozzano. Oggi i punti attivi sono sette e vorremmo entro l’anno arrivare a dodici social market».
Come funzionano?
«Sono piccoli supermercati nei quali le persone per la spesa utilizzano una tessera a punti. C’è anche una tessera specifica per i bambini piccoli per ritirare pannolini, latte in polvere e quant’altro occorra. Ogni settimana le persone vengono a fare la spesa e scelgono ciò di cui hanno bisogno dallo scaffale dove ci sono i prodotti con i relativi punti. Abbiamo visto che questo è un mezzo efficace anche per entrare in relazione con le persone e poi accompagnarle nel percorso di reinserimento sociale o a trovare lavoro. Sette anni fa abbiamo costituito un’impresa sociale per formare le persone in vista di un’occupazione attraverso tirocini. Solo l’anno scorso abbiamo inserito oltre 130 persone nel mondo del lavoro. Certo è una piccola cosa nel mare di bisogni che incontriamo, ma sono persone che oggi non sono più a rischio povertà».
Per i social market avete già individuato le possibili nuove aperture?
«Il mese prossimo apriamo in viale Bodio, sulla circonvallazione a Milano, poi un altro è in arrivo sempre a Milano in viale Umbria. Cerchiamo di averli in tutti i punti della città per facilitare l’accesso alle famiglie che hanno bisogno».
Una scelta di localizzazione che guarda soprattutto ai quartieri popolari e alle periferie?
«Sì, infatti abbiamo social market a Baggio, a Rozzano. Teniamo presente che a Rozzano il rapporto case popolari-cittadini è il più grande d’Europa. È il più grande agglomerato di case popolari in rapporto alla popolazione in Europa. Lì il livello di povertà è alto, sosteniamo 240 famiglie già da qualche anno».
Complessivamente quante sono le persone che oggi fanno riferimento ai social market?
«Siamo a 2478 famiglie, sono tante, con una media anche di 4 o 5 persone per ogni nucleo familiare. Ci sono anziani soli, ma soprattutto famiglie numerose. Poi dobbiamo aggiungere anche i pacchi viveri che distribuiamo in tutte le regioni d’Italia, specie nei piccoli paesi. Dove non siamo presenti con i social market arriviamo con il pacco alimentare che garantisce comunque un’alimentazione di base con pasta, riso, prodotti a lunga conservazione. Sono 2mila le famiglie in difficoltà economica che ricevono il pacco viveri ogni mese».
(Piergiorgio Chiarini)
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