Sono passati più di due mesi e mezzo dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e ancora oggi prosegue costante il flusso di profughi diretto in vari Paesi europei, tra cui l’Italia. Un’emergenza cui si è aggiunta recentemente, con l’avanzata verso ovest delle truppe di Mosca, quella relativa al gran numero di sfollati interni che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni stima aver raggiunto a inizio maggio gli 8 milioni di unità.
A prestare il proprio aiuto in prima linea, fornendo assistenza e accoglienza, c’è anche Fondazione Progetto Arca, che si è subito mobilitata. «Il 24 febbraio è iniziata la guerra e il 28 siamo partiti con un convoglio di 5 mezzi – furgoni, camper e cucina mobile – diretti a Sirét, città rumena vicina al confine, dove insieme agli amici dell’Ong Remar abbiamo cominciato ad accogliere, in un centro sportivo fornitoci dalla Prefettura locale, le tantissime persone che stavano uscendo dall’Ucraina, circa un migliaio al giorno», ci racconta Alberto Sinigallia, Presidente di Fondazione Progetto Arca che era alla guida di quel convoglio.
Cosa vi ha spinto a decidere di partire così rapidamente?
Siamo nati seguendo l’esempio di Fratel Ettore, che era sempre sul campo in tutte le emergenze, qualsiasi cosa succedesse. Quando vediamo un bisogno, un buco scoperto, la possibilità di fare qualcosa, anche se può sembrare una goccia nel mare, ci muoviamo. Non solo in Italia. Due anni fa, per esempio, quando ci fu l’incendio al campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo, ci siamo attivati subito e dopo due giorni eravamo lì a dare il nostro aiuto. Abbiamo lavorato anche in Costa d’Avorio, in Sud Sudan, Libano e Giordania. Abbiamo sempre pronti dei kit di emergenza, delle tende e delle brandine, che ci consentono di intervenire rapidamente e restare fino a che le istituzioni non riescono a farsi carico stabilmente e pienamente della situazione.
E così, pochi giorni dopo l’inizio della guerra, siete arrivati al confine tra Romania e Ucraina.
Sì, ci siamo occupati della prima accoglienza delle tantissime persone che lasciavano il loro Paese, offrendo anche un primo conforto in frontiera, dopo ore trascorse in coda con neve e temperature sotto zero, grazie alla cucina mobile che consente di preparare pasti e bevande calde. Abbiamo poi affittato un magazzino dove poter stipare i beni di prima necessità, così da migliorare l’aspetto logistico. C’è stato un grande coinvolgimento da parte di aziende e semplici cittadini italiani, con le loro donazioni: l’80% dei beni utilizzati è stato frutto della loro generosità.
Non vi siete però fermati a Sirét…
No, dopo due settimane abbiamo cominciato a operare anche in Polonia, a Przemyśl, dove erano già attive diverse Ong, ma c’era bisogno in frontiera e la nostra cucina mobile si è rivelata molto utile per aiutare nell’accoglienza dei tanti profughi ucraini.
(La distribuzione di generi alimentari di conforto per i profughi alla frontiera tra Ucraina e Polonia)
E poi avete deciso di andare oltre la frontiera.
Sì, a Černivci abbiamo realizzato una mensa di 400 mq che riesce a garantire circa duemila pasti al giorno. Di fianco, abbiamo allestito un’area per la distribuzione di beni di prima necessità, oltre che una dedicata ai bambini. In questo caso assistiamo gli sfollati che arrivano da territori di guerra in cerca di zone più sicure. Si tratta di tantissime persone, basti pensare che Černivci ha 200.000 abitanti e gli sfollati sono ormai 180.000: di fatto una piccola città che si è ritrovata con la popolazione quasi raddoppiata in poco tempo. Anche per questo abbiamo cominciato a distribuire dei pacchi di viveri alle persone che vivono nelle case, perché il cibo scarseggia e costa tantissimo. Anche in questo caso la generosità e le donazioni ci stanno aiutando molto.
In che modo?
Con Fondazione Fiera Milano, con cui avevamo organizzato già alla fine di marzo l’invio di un convoglio di tir con beni di prima necessità e anche giocattoli e peluches per i bambini alla volta della Fiera di Varsavia e di Poznan destinati all’accoglienza dei profughi, abbiamo dato vita, insieme anche a Fiera di Parma e Federalimentare, a una raccolta fondi per la realizzazione e il reperimento di prodotti alimentari per le mense di Černivci e di Mostys’ka.
(La mensa allestita a Černivci)
Quindi non vi siete fermati nemmeno a Černivci…
Esatto, siamo presenti anche a Mostys’ka, una città non lontano da Leopoli, dove, come noto, arrivano molti sfollati. In questi giorni stiamo lavorando per raddoppiarne la capacità. Grazie, appunto, anche alle donazioni che stiamo ricevendo.
Per realizzare tutte queste attività servono anche molte persone.
Sì, per l’accoglienza in frontiera sono fondamentali i volontari che hanno preso anche dei giorni di ferie per poter essere presenti. A Černivci e Mostys’ka abbiamo trovato la disponibilità gratuita di tantissime persone del luogo, una dimostrazione della generosità di questo popolo. Ed è anche un bene che soprattutto nelle mense e nella distribuzione del cibo ci siano persone che parlino l’ucraino.
Più il tempo passa, più aumenta la situazione di difficoltà nelle persone che accogliete?
È inevitabile. Oggi c’è un problema molto importante relativo al cibo, basti pensare che il prezzo del pane è decuplicato o non si trova proprio. Quando inizierà la ricostruzione in Ucraina sicuramente il nostro impegno cambierà, ma sappiamo anche ci vorrà del tempo e che quindi non potremo andare via molto presto.
E nel frattempo state anche accogliendo i profughi ucraini che arrivano in Italia.
Sì, cerchiamo di offrire prima assistenza e orientamento ai profughi che arrivano in Stazione Centrale a Milano. Per questo è stato riaperto, insieme alla Protezione Civile comunale e all’Ats, l’hub del Sottopasso Mortirolo, dove vengono effettuati anche i tamponi per il Covid-19. Per quanti risultano negativi al test offriamo un’accoglienza temporanea in due centri che, grazie al supporto di Fastweb, Ikea Italia, Fondazione Mon Soleil, Samsung Electronics Italia, Studio legale Gattai, Minoli, Partners e Bticino, abbiamo aperto in zona – in via Sammartini e in via Stella – di modo che abbiano un aiuto per le pratiche burocratiche da sbrigare e nel caso un supporto psicologico per i traumi patiti: siamo abituati a vedere la guerra in televisione e non immaginiamo nemmeno i segni indelebili che può lasciare.
(Il centro di accoglienza in via Stella a Milano)
Continuano ancora ad arrivare tante persone?
Ne arrivano circa un centinaio al giorno. Molte pensavano che la guerra finisse presto, invece sta continuando. C’è chi arriva dopo settimane di viaggio, dopo aver transitato per altri Paesi europei: è molto importante poter offrire loro anche solo qualche giorno di accoglienza e supporto per potersi stabilizzare un attimo, specialmente nel caso delle famiglie con bambini.
(Lorenzo Torrisi)
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