“Mettere le ruote” per portare la risposta ai bisogni degli indigenti là dove sono. Dice proprio così Alberto Sinigallia, presidente di Fondazione Progetto Arca: “mettere le ruote”. Perché, dopo un 2021 “molto attivo”, in un paese a cui la doppia emergenza, sanitaria ed economica, ha cercato per due anni di sgonfiare le gomme a tutti e a tutto, lui immagina già un 2022 a tutta mobilità.



Fedele alla sua instancabile indole, alla sua “teoria del salmone” (saper andare controcorrente stando però fuori dalla corrente per non farsi travolgere) e alla mission imparata da Fratel Ettore (“Il primo aiuto, sempre”), Sinigallia vuole stare ancora più vicino agli ultimi, a chi vive condizioni di disagio, spostando là dove vivono una serie di servizi: ha cominciato con la cucina mobile, e ora vuole continuare sulla stessa strada, creando “un social market mobile, un servizio docce e salone di bellezza mobile con tanto di boutique, un dormitorio mobile e libreria mobile”.



I progetti non mancano. Ma che anno è stato per Fondazione Progetto Arca questo 2021? Quanto vi ha impegnati e che cosa lascia in eredità?

Il 2021 è stato sicuramente un anno che ci ha visti molto attivi. Di fronte alla tempesta del Covid ci siamo piegati come un giunco, ma non ci siamo spezzati, grazie ai tantissimi volontari e ai nostri operatori e dipendenti, che hanno saputo tenere saldo il timone della barca. Anzi, abbiamo addirittura rilanciato il nostro impegno.

Con quali risultati?

Abbiamo vaccinato in strada i senza dimora e più di mille ospiti nelle nostre strutture di accoglienza; abbiamo tamponato decine di migliaia di persone; abbiamo aperto nuovi centri per i senza dimora e anche un social market; abbiamo quintuplicato i nostri pacchi viveri per le famiglie bisognose; abbiamo attivato 5 Unità di strada in cinque città diverse; abbiamo visto crescere la raccolta fondi del 20%, che in un anno di crisi è davvero un risultato eccezionale, e grazie alla quale abbiamo potuto offrire servizi innovativi e allargare le nostre attività di distribuzione di generi alimentari ai più deboli e di aiuti ai bambini, dai biberon ai pannolini, in 18 regioni, 13 in più rispetto all’anno precedente. Abbiamo fatto molto più di quanto avremmo fatto anche se non ci fosse stato il Covid.



La pandemia vi ha reso più resilienti?

Il Covid è stato uno stimolo ad andare incontro al bisogno con maggior lena. Quando molti servizi si sono chiusi e molti si sono tirati indietro, noi abbiamo detto: dobbiamo fare di più.

Quali cicatrici hanno lasciato questi due anni di pandemia e di crisi economica? I fragili sono diventati ancora più fragili?

Tra i più fragili, che hanno sofferto molto la restrizione delle relazioni, abbiamo visto dilagare la depressione, intesa come mancanza di visione del futuro, una discesa verso il basso senza intravvedere una risalita. Ma la mancanza di visione del futuro sembra aver preso un po’ tutti, dovuta in gran parte ai due anni di pandemia, che ha fiaccato la resistenza di molti.

Come si fa a non lasciarsi travolgere da questa depressione dilagante? In cosa trovate la forza di reagire, di non arrendervi?

Bisogna fare come i salmoni, che risalgono il fiume volando sulla corrente contraria, sfruttando i loro potenti colpi di coda. E’ l’unico modo per resisterle.

Fuor di metafora?

Non bisogna identificarsi con il problema, le risposte istintive di solito non aiutano a risolverlo. Bisogna invece saper trovare la distanza giusta, solo così si può prendere la decisione giusta nel momento giusto. Le parole chiave sono tre: ascolto, osservazione e azione.

Sono nati nuovi bisogni che richiedono risposte nuove?

Sì, assolutamente. A partire dai bisogni primari del cibo, del dove dormire o dell’infanzia, che è una delle emergenze maggiori con cui già oggi dobbiamo, e dovremo, fare i conti. E poi la crisi economica ha fatto crescere l’esigenza di un’educazione finanziaria. Progetto Arca, per esempio, mette a disposizione tanti educatori finanziari, che insegnano alle persone a gestire la finanza domestica, anche là dove si tratta solo di un piccolo stipendio.

E come cambia la risposta a queste emergenze?

Il Covid ha fatto emergere il bisogno di mettersi in rete, un bisogno molto sentito dalle organizzazioni di volontariato. Ci siamo ritrovati a offrire servizi insieme ad altri e da lì sono nate connessioni molto virtuose, in cui ciascuno, in base alle proprie competenze e possibilità, ha trovato il suo spazio. La torta dell’aiuto ai più disagiati è fatta di molte fette.

Si parla tanto di ripresa, c’è una gran voglia di nuova normalità: come renderla più inclusiva? Ci sono nodi che vanno sciolti, con cui sarebbe bene non avere più a che fare nel post-Covid?

Bisogna innanzitutto cambiare la parola “ripresa”.

Perché?

Perché non dobbiamo ripercorrere la stessa strada su cui siamo scivolati. Il post-Covid sarà una nuova era, dobbiamo ricostruire un nuovo percorso, non possiamo più ritornare a dove eravamo prima. La pandemia è stata una sveglia, una rottura di vecchi schemi, una sberla che ci ha risvegliato da un lungo sogno.

C’è qualcosa che si sente di chiedere alla politica e alle istituzioni affinché la vostra attività sia più efficace e incontri meno ostacoli?

Anche qui la connessione è il punto di partenza, la chiederei alla politica, alle istituzioni, al mondo produttivo, alle fondazioni, al non profit e ai cittadini.

Un esempio concreto?

Ci sono, solo a Milano, 4-5mila case popolari lastrate, ci sono fondazioni bancarie che vogliono donare per l’housing, ci sono organizzazioni che vorrebbero aprire e ristrutturare questi alloggi e ci sono 10mila in attesa di casa popolare. C’è tutto, purtroppo però a scompartimenti stagni e manca proprio questo ingrediente strano che è la connessione. Ecco, a mettere tutti insieme, in rete dovrebbero essere le istituzioni.

La parola d’ordine 2021 del welfare era “reinventarsi”. Quella del 2022?

Dopo che ci si è reinventati, ora bisogna agire, ma in connessione: questa è la parola d’ordine, visto che la pandemia ci ha fatto scoprire divisi.

Fratel Ettore vi ha insegnato e spronato ad offrire “il primo aiuto, sempre”. Quale sarà il prossimo primo aiuto?

Far uscire le persone dall’indigenza, perché il loro numero è destinato ad aumentare notevolmente. Lo tsunami della povertà non è ancora arrivato, ma si scatenerà presto, non appena il blocco degli sfratti esecutivi e dei licenziamenti, che sono appena ripresi, subiranno una brusca accelerazione, con il rischio di ritrovarci con decine di migliaia di persone in strada.

Quindi?

Continueremo con l’assistenza, che è l’attività core della nostra missione, ma cercheremo di potenziare anche il nostro ruolo come impresa sociale – la prima è stata aperta qualche anno fa presso l’Abbazia di Mirasole – aiutando chi è in difficoltà a trovare una casa e un lavoro.  

Che nuove iniziative ha in serbo Fondazione Progetto Arca per il nuovo anno?

Ce ne sono tante, all’insegna dell’andare incontro ai bisogni delle persone e non aspettando che le persone bisognose si rivolgano a noi. Così, sulla scia della cucina mobile, vogliamo mettere le ruote al social market per portare a casa delle persone indigenti i pacchi viveri e il fresco; vogliamo mettere le ruote – sfruttando un bus a due piani londinese – a un servizio docce, salone di bellezza, boutique di vestiti nuovi e biblioteca, perché per uscire dall’indigenza c’è bisogno di una nuova visione di se stessi. E vorrei mettere le ruote anche al dormitorio, trasformando magari un autobus in rifugio mobile con 30-40 posti letto, per non lasciare i senza dimora all’addiaccio.

(Marco Biscella)

Per rimanere informati sulle attività e per aiutare Progetto Arca a sostenere i più fragili: www.progettoarca.org

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