La cosiddetta “città degli invisibili”, i senza tetto – o “i barboni” come in modo spregiativo vengono spesso chiamati -, con la pandemia è diventata ancora più invisibile. Con la chiusura di bar, ristoranti da cui mendicare qualche avanzo, ma anche di mense pubbliche, centri di accoglienza, soprattutto nella prima fase, tante persone si sono ritrovate a fare letteralmente la fame. E’ qui, come ci racconta in questa intervista Alice Giannitrapani, responsabile dei volontari della Fondazione Progetto Arca, “che siamo intervenuti, preoccupandoci del periodo invernale, quello più duro da affrontare”. Sono almeno 500, ci ha detto, i senza tetto, quelli che vivono e dormono per le strade in una città come Milano: “L’iniziativa denominata L’altra strada sei tu, si muore di freddo, non essere freddo cominciata da alcuni mesi prosegue fino al prossimo 7 febbraio.



Ci occupiamo di portare ogni sera un pasto caldo e un sacchetto contenente cibi confezionati per gli altri due pasti giornalieri, abbiamo a disposizione un foodtruck dotato di cucina che distribuisce ogni sera 120 pasti caldi, ma siamo anche in grado di fare tamponi rapidi per monitorare le condizioni di salute”. L’iniziativa ha naturalmente bisogno del sostegno di chi può offrire un aiuto economico, si può aderire inviando un SMS al numero solidale 45584, si potranno donare 2 euro con SMS da cellulare personale WindTre, Tim, Vodafone, Iliad, PosteMobile, CoopVoce, Tiscali; il valore della donazione sarà di 5 o 10 euro per ciascuna chiamata da rete fissa Tim, Vodafone, WindTre, Fastweb e Tiscali o di 5 euro per ogni chiamata da rete fissa Twt, Convergenze e PosteMobile. “I fondi raccolti saranno usati per potenziare le unità di strada a livello nazionale e aumentare il numero di pasti distribuiti.



Proprio in questi giorni abbiamo aggiunto una Cucina Mobile per assistere le persone senza dimora non più solo per pranzo e cena ma anche per il primo importante pasto della giornata: la colazione. Il foodtruck dotato di fornelli e bollitori, che dallo scorso novembre consegna pasti caldi, potenzia il suo percorso per essere presente anche la mattina, dalle ore 7 alle 9, in diverse zone della città per distribuire una colazione calda, buona, sana”. Centinaia di colazioni ogni settimana complete di caffè o tè o latte caldi, una brioche, un frutto di stagione, un succo e una bottiglietta d’acqua. Per chi lo desidera, una colazione ancora più energetica con un tramezzino con uovo sodo e barrette di frutta secca per affrontare il freddo della giornata con il corretto apporto di calorie. Il servizio al momento è garantito 3 giorni a settimana.



Siete quasi alla fase conclusiva del vostro progetto di aiuto. Come sta andando?

C’è stata una bella risposta mediatica, abbiamo avuto testimonial come Enzo Iacchetti, Alex e Franz e personalità del mondo civile. Non è mancato il sostegno.

Tu sei la responsabile dei volontari della Fondazione. Che tipologia di volontari avete?

La maggioranza è composta per il 70% di donne e comunque si tratta di un volontariato adulto. I temi di cui ci occupiamo, come l’emarginazione degli adulti, hanno bisogno di personalità strutturate in grado di affrontarle. Con i più giovani seguiamo invece il percorso classico alternanza scuola-lavoro con momenti di formazione. Ci consente di prepararli all’incontro con le fragilità.

A Milano avete contato 2mila senza tetto di cui 500 che dormono per strada: è un numero davvero alto.

Questa è la fotografia corretta. Le 500 persone che dormono per strada le conosciamo una per una, usciamo con sei unità mobili in zone diverse della città anche con più equipaggi. La maggior parte di loro si concentra in centro, presso Piazza Duomo, ma ce ne sono anche molti che vogliono isolarsi il più possibile, perciò bisogna monitorare anche zone meno frequentate. L’età media è tra i 40 e i 50 anni, anche se fisicamente sono molto debilitati.

Questo numero si spiega con il fatto che a Milano non ci sono strutture a sufficienza o perché molti di loro non vogliono essere aiutati?

E’ una questione complessa. Ci sono i cosiddetti irriducibili con disagio psichico o con abuso di dipendenze per cui la loro lucidità è così alterata che li porta a rifiutare ogni proposta. E’ vero che il Comune di Milano, pur essendo tra i più virtuosi, propone aiuti legati all’emergenza invernale, un servizio che viene potenziato appunto di inverno, ma l’accoglienza è temporanea, per cui la logica di una accoglienza a tutto tondo non è ancora nelle logiche di sviluppo progettuale. Per questo abbiamo lanciato il progetto dell’housing first, affinché venga messa al centro come risposta una casa senza limiti di tempo. I posti letto in inverno vanno completamente esauriti.

Molti saranno stranieri, è così?

Tanti sono italiani adulti che si trovano in strada per un grave lutto da cui non si riprendono, o per una separazione, ma tanti sono stranieri da tempo in Italia con un percorso di inserimento fallito e tantissimi sono giovani con richiesta di asilo di protezione internazionale ma che alla fine dell’iter si trovano in un limbo di marginalità.

Oltre ai pasti voi portate anche un kit sanitario: come la pandemia ha condizionato la vostra attività?

Il problema è stato soprattutto durante la prima fase, la difficoltà principale è stata che non c’erano dispositivi sanitari, è stato un grande sforzo per i nostri volontari dotarci tutti noi e portarli anche ai senza tetto. Molte altre associazioni come la nostra si sono fermate, e il tema della fame è diventato grave.

In che senso?

In quei mesi tante realtà come le mense pubbliche avevano chiuso, ecco da cosa è nata la nostra idea della cucina mobile. La gente ci diceva: io non mangio da giorni, perciò abbiamo capito che bisognava portare cibo caldo per strada. Durante tutto l’anno portiamo anche biancheria intima, indumenti. Nel periodo della pandemia i guardaroba cittadini avevano chiuso e così anche i bagni e le docce pubbliche. Abbiamo dovuto insistere con il Comune perché venissero riaperti.

E i dispositivi sanitari?

Abbiamo dei colleghi infermieri che girano con i nostri volontari. Queste persone hanno capito benissimo cosa sta succedendo e come tutti noi hanno paura del contagio. Abbiamo iniziato a misurare la temperatura, e adesso eseguiamo anche tamponi rapidi.

E’ difficile rapportarsi con loro? Nascono rapporti di amicizia?

Varia molto dalla disponibilità che troviamo, dove c’è la possibilità di una apertura si cerca di fare un lavoro educativo e anche di ripristino della cittadinanza.

Che significa?

Adesso anche per i senza fissa dimora è prevista la possibilità di avere un documento di identità, di residenza fittizia, cosa importante ad esempio per poter avere il medico di base e accedere ai servizi sociali. A volte c’è paura per i traumi vissuti ed è difficile, ma i nostri operatori cercano di lavorare su questo con continuità, sono persone che conosciamo in alcuni casi da anni. Non è sbagliato chiamarla amicizia anche per i volontari: quando ci si conosce c’è un riconoscersi, sono serate passate con il sorriso e la voglia di esserci che diventano un punto di riferimento reciproco.

(Paolo Vites)