“Scusate, ho visto che avete già chiamato tutti. Ma io posso ricevere il vaccino? I volontari mi hanno detto di venire qui, alle 19,30, e di mettermi in fila. Ho qualche possibilità?”. Gli occhi e la voce di Ibrahim nascondono un timore: senza vaccinazione e Green pass per lui, uno dei 600 senza dimora censiti in città da Progetto Arca, sarà quasi impossibile avere accesso alle strutture collettive di accoglienza e assistenza.



Ibrahim, quella sera del 30 settembre, si è presentato, in perfetto orario, all’ora indicata, in piazza San Babila, angolo Corso Europa, dove Progetto Arca aveva in programma l’ultimo appuntamento con l’operazione “On the road”, dalle 20 alle 23. Pensata in collaborazione con Comune di Milano (vero regista nella predisposizione delle liste), Ats, Areu, Regione Lombardia e altre organizzazioni del Terzo settore (Medici Volontari Italiani, Croce Rossa e Ciscom, anch’esse con le loro postazioni davanti alle stazioni Centrale e Garibaldi) “On the Road” aveva l’obiettivo di vaccinare contro il Covid-19, entro fine settembre, il maggior numero di persone senza fissa dimora, somministrando il monodose Janssen, perché “nessuno deve rimanere escluso”.



Davanti al camper che funge da centro vaccinale e al gazebo allestito dagli operatori di Progetto Arca, in attesa stazionano già nove persone, tre italiani e sei stranieri. Tutti aspettano tranquillamente il proprio turno. A fare l’appello, prima chiamando per nome e poi assegnando a ciascuno un numero progressivo di vaccinazione, garantendo così la tutela della privacy, sono una dottoressa e un’infermiera della stessa Fondazione Progetto Arca, che si occupano anche della visita anamnestica e dei controlli pre e post vaccinali. Proprio la presenza di personale professionalmente qualificato (c’è anche uno psicologo) è stata la pre-condizione che ha permesso a Progetto Arca di poter svolgere, oltre ai suoi tradizionali compiti assistenziali di primo intervento, dalla distribuzione del cibo alla consegna dei sacchi a pelo per la notte, anche questo presidio sanitario, rispettando tutte le norme in vigore e i vincoli legati al tempo di conservazione e di esposizione del siero.



Racconta Costantina Regazzo, direttrice servizi Progetto Arca: “Chi vive veramente in strada va preso nel momento giusto e nella situazione giusta: è il legame fiduciario costruito dagli operatori delle nostre Unità di strada a fare la differenza e da garanzia. All’inizio la nostra paura era: chi incontriamo in strada? E se le persone più fragili si vaccinano due volte? Che meccanismi di sorveglianza ci diamo?”.

Domande che hanno subito trovato una risposta confortante. “Le prime sere – ricorda Costantina – erano tutti titubanti, anche perché in molti scattava la ‘presunzione’ che stare in strada, con tutte le difficoltà e le fatiche che comporta, potesse evitare guai peggiori. Molti però hanno visto alcuni loro amici ammalarsi, hanno visto che il Covid fa soffrire tanto. Così, pian piano, il passaparola li ha spinti a mettersi in fila. Erano incuriositi, ponevano molte domande, volevano informarsi bene. E per qualcuno il Green pass ha fatto da molla per convincerli a immunizzarsi”.

“On the Road” è partita in via sperimentale a luglio, ma già ad agosto e settembre si erano venute a formare delle code e quindi “possiamo dire che l’iniziativa è stata un successo. Ogni settimana abbiamo vaccinato un centinaio di persone, e non è poco. In quattro sessioni sono state immunizzate 400 delle 600 persone in strada attualmente censite. Quattrocento soggetti che non corrono il rischio di essere esclusi o costretti a frequenti tamponi per entrare nei centri di assistenza”.

Ma come funziona la vaccinazione in strada? Alle persone che si presentano viene eseguita un’anamnesi accurata, che è la parte più delicata. “Quando abbiamo lanciato l’iniziativa abbiamo realizzato anche un volantino che spiegava le caratteristiche del processo vaccinale, assicurandoci così che le persone avessero un momento dedicato. Nei casi di possibile rischio o di particolare fragilità, accertato dai nostri medici, accompagniamo il soggetto affidandolo a una realtà sanitaria strutturata”.

I dati anamnestici di tutti i soggetti vaccinati vengono restituiti il mattino successivo ad Areu, che li carica in un database condiviso con le altre organizzazioni di volontariato. Ed è la stessa Areu che consegna i sieri, dopo averne ovviamente controllata l’adeguatezza, e uno zaino contenente il kit di pronto intervento”. Situazioni critiche? “Non ne abbiamo mai avute. Comunque, in caso di emergenza, Areu mette a disposizione la sua rete di ambulanze”. E se non tutte le dosi del vaccino vengono somministrate? “E’ importante il gioco di squadra: qualora si presentassero meno di 12 persone, i vaccini inutilizzati vengono messi a disposizione di Ciscom, che ha un camper vaccinale davanti alla stazione Garibaldi. Ma può accadere anche il contrario”. Eventi avversi? “Uno, ma è scattata subito la rete d’emergenza di Areu”.

Dopo l’inoculazione e il canonico quarto d’ora di decantazione, ai vaccinati viene rilasciato un documento che attesta l’avvenuta somministrazione e nei giorni successivi sono monitorati dalle Unità di strada. “Inoltre – ci dice Costantina – gestiamo per conto del Comune il ‘Piccolo Rifugio’ in via Aldini, una struttura in cui possiamo seguire al meglio chi ha bisogno di restare sotto osservazione, grazie anche alla presenza e alla reperibilità di operatori sanitari dedicati”. E se si presentano persone in più? “Il nostro obiettivo è utilizzare sempre tutte le dosi a disposizione, in casi estremi li indirizziamo ad altre strutture mobili. Oppure chiediamo loro se hanno avanzato dei sieri”.

Ibrahim temeva di essere un esubero, ma alla fine riceve il suo Janssen. E alla fine, con una mano sul braccio dell’iniezione, se ne va, senza smettere di ringraziare.

Per rimanere informati sulle attività e per aiutare Progetto Arca a sostenere i più fragili: www.progettoarca.org

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