Nel corso delle dichiarazioni programmatiche del Governo, Giorgia Meloni ieri ha spiegato che “l’orizzonte al quale vogliamo guardare non è il prossimo anno o la prossima scadenza elettorale. Quello che ci interessa è come sarà l’Italia tra dieci anni, e sono pronta a fare quello che va fatto, a costo di non essere compresa, a costo perfino di non venire rieletta, per essere certa di avere reso, con il mio e il nostro lavoro, il futuro di questa Nazione più agevole”. La Premier ha quindi esposto un programma che guarda oltre la legislatura, ma che non poteva non partire da una contingente situazione economica difficile, “una tempesta”, come l’ha definita, considerando il rallentamento dell’economia mondiale, le prospettive di recessione per l’Italia, il ciclo avviato di rialzo dei tassi e la fine del Quantitative easing. E per prima cosa ha quindi ricordato la necessità che “gli oneri della crisi internazionale siano suddivisi in modo più equilibrato”. In questo senso le conclusioni del Consiglio europeo di settimana scorsa, pur essendo un passo avanti, “sono ancora insufficienti”. «In effetti – ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano -, il prezzo del gas in questo momento sta scendendo, ma ancora l’inverno di fatto non è iniziato e quindi si potrebbe presto tornare, vista la volatilità di quel mercato, a livelli più alti e difficilmente sostenibili. E al momento, purtroppo, non si intravvedono strumenti in grado di ridurre questa volatilità dei prezzi».



La Meloni ha evidenziato che a livello nazionale bisogna fare di più sia sui giacimenti di gas in mare che sulle rinnovabili, su cui pesano “burocrazia e veti incomprensibili”.
In linea di principio un nuovo Governo potrebbe intervenire con una certa autorevolezza su questi temi e sarebbe un bene, perché aumentare l’offerta di gas e di energia in generale non può che aiutare a far scendere i prezzi.



Prezzi che poi contribuiscono a far crescere l’inflazione. La presidente del Consiglio ha detto di voler  varare, già con la prossima Legge di bilancio, “misure volte ad accrescere il reddito disponibile delle famiglie”, allargando anche la platea dei beni primari che godono dell’Iva agevolata.

Se l’idea è aggiungere beni che fanno parte del cosiddetto carrello della spesa, contribuendo a contenere l’aumento dei prezzi, ben venga. Si tratterebbe di una mossa che consentirebbe di fornire un sostegno concreto ai redditi delle famiglie.

La Premier non ha nascosto che occorre rassicurare gli investitori a fronte di un elevato debito pubblico su Pil, ma anche evidenziato che “la strada per ridurre il debito non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra, l’unica possibile, è la crescita economica, duratura e strutturale”. Cosa ne pensa?



Sono perfettamente d’accordo. Come sa, per almeno un decennio ho sostenuto che seguendo l’austerità ci stavamo inutilmente scavando la fossa, perché quella non era la soluzione. Dobbiamo crescere e per farlo servono investimenti nelle direzioni giuste.

È d’accordo anche con l’idea che si debba assicurare, come ha detto la Meloni, la proprietà pubblica delle reti?

So che molti non sono di quest’idea, ma personalmente sono d’accordissimo. Il mercato di fatto è una rete di infrastrutture, che consente a tanti soggetti di incontrarsi e fare affari tra loro. E le infrastrutture sono un bene pubblico.

Veniamo al patto fiscale delineato dalla Meloni, basato su tre pilastri: 1) ridurre la pressione fiscale tramite l’introduzione graduale del quoziente familiare e di una flat tax a partire da quella incrementale; 2) una tregua fiscale; 3) una serrata lotta all’evasione.

Anzitutto mi sento di dire che prima si introduce il quoziente familiare, meglio è. Per quanto riguarda la flat tax, come ho spiegato in una precedente intervista, l’importante è che si salvaguardi la progressività e che sia equa. Infine, sulla lotta all’evasione, vorrei osservare che tutti i Governi dicono di volerla perseguire. Mi chiedo, però, se si stiano utilizzando al meglio tutti i dati dell’Anagrafe tributaria che, in quest’epoca di crescente digitalizzazione, sono ormai a disposizione dell’Agenzia delle Entrate. Penso, quindi, che occorra una maggiore volontà politica e sarebbe meglio se venisse spiegato più nel concreto cosa si intende fare.

La Premier ha parlato anche di un intervento graduale per tagliare di almeno cinque punti il cuneo fiscale in favore sia delle imprese che dei lavoratori. Cosa ne pensa?
L’importante è essere consapevoli che non si cresce riducendo il costo del lavoro. Inoltre, bisognerebbe capire quali sono le coperture di una simile operazione: o si fa in deficit, oppure c’è il rischio che si vadano a togliere risorse destinate a un sistema di welfare già malmesso. Non vorrei, quindi, che in nome del cuneo fiscale si andasse a tagliare lo Stato sociale.

Citando papa Francesco e la povertà dilagante, la Meloni ha detto che va garantito un sostegno economico alle persone effettivamente fragili non in condizioni di lavorare, “ma per gli altri, per chi è in grado di lavorare, la soluzione non può essere il Reddito di cittadinanza”.

Sono pienamente d’accordo. Se una persona è in grado di lavorare, che lo faccia. Ovviamente, deve trattarsi di un lavoro retribuito il giusto. Già all’inizio dell’Ottocento, David Ricardo sosteneva la necessità di un salario che consentisse a una famiglia di vivere dignitosamente. Oggi, però, in tante situazioni un salario da solo non basta a vivere dignitosamente: soprattutto laddove, come nei grandi centri urbani, paradossalmente c’è più lavoro, ne servono due. Questo vuol dire che occorre un’organizzazione della società e un sostegno se i salari sono troppo bassi che favoriscano le famiglie.

A questo proposito, la Premier ha detto che intende sostenere e tutelare la famiglia, anche sul piano economico. Non solo, come detto prima, tramite la progressiva introduzione del quoziente familiare, ma anche aumentando l’importo dell’assegno unico per i figli, incentivando l’occupazione femminile e favorendo la conciliazione lavoro-famiglia.

L’assegno unico, per quanto buona misura sulla carta, a livello concreto non si è rivelata tale. In primo luogo, perché viene utilizzato l’Isee, che nel nostro Paese non serve tanto per quantificare il sostegno, ma fondamentalmente per dire di no, per escludere chi non è sotto una determinata soglia. Inoltre, perché va presentata domanda, il che mi pare un’anomalia: anche in questo caso, infatti, lo Stato ha i dati su tutti i figli e le relative famiglie. Perché, allora, questi soldi vanno chiesti? Dato, infine, che le domande finora sono state inferiori alle previsioni, c’è da chiedersi dove andrano i fondi residui. Non vorrei che, come quest’estate, venissero utilizzati per altri provvedimenti. Forse non è ben chiaro che l’investimento più importante che si possa fare è sui bambini e sui giovani. Il tema della famiglia è fondamentale, come quello della natalità. Per fortuna la Premier ne ha parlato nel suo discorso programmatico: meglio tardi che mai.

(Lorenzo Torrisi)

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