Tra una settimana scade il tempo per presentare liste e candidati, intanto i partiti stanno piantando le loro bandierine. L’alleanza di centrodestra ha fatto filtrare i suoi quindici punti e il Pd ha annunciato per grandi linee le sue proposte. A destra spiccano le bandiere del presidenzialismo (Fratelli d’Italia) e delle autonomie (Lega), più il blocco navale per fermare l’immigrazione clandestina; a sinistra il vessillo dei diritti (compreso lo ius scholae e un nuovo disegno di legge Zan). Pur senza voler sottovalutare il valore di queste dichiarazioni di principio, preferiamo soffermarci sulle proposte per affrontare l’autunno più difficile degli ultimi anni con una pandemia che minaccia di tornare e una triade micidiale che ha già presentato il conto: inflazione, crisi energetica, ricaduta della guerra in Ucraina. I programmi valgono non per l’emergenza, ma per l’intera legislatura, tuttavia se l’economia collassa, finiranno tutti nel cestino.
Abbiamo scelto i due schieramenti politici principali (senza offesa per i Cinquestelle e per la coppia Calenda-Renzi) e cominciamo dal centrodestra che, stando ai sondaggi, dovrebbe risultare vincitore. Fatte le professioni di atlantismo ed europeismo (vedremo alla prova dei fatti che cosa significano), troviamo l’usuale riforma del Patto di stabilità per sostenere la crescita. Subito c’è la revisione del Pnrr. Non è spiegato se significa allungare i tempi di attuazione al 2026 cambiando alcune priorità oppure aumentare gli stanziamenti con emissione di nuovo debito europeo, per una sorta di “scala mobile” dei costi. Ma il piatto forte riguarda il combinato disposto di meno tasse e più sussidi, sostegni, erogazioni di varia natura ed entità.
Si punta sulla flat tax per gli autonomi sino a 100 mila euro di ricavi. Poi c’è la cedolare secca al 15% per redditi incrementali rispetto all’anno precedente, e “in prospettiva” quella per famiglie. È il cavallo di battaglia della Lega che ricalca un disegno di legge presentato in Parlamento che prevede ben 18 aliquote diverse per far garantire la progressività. In caso contrario bisogna cambiare la Costituzione (anche qui non solo per la triade Presidente, Governo e Parlamento). A tutto questo s’aggiungono riduzioni dell’Iva su beni di prima necessità (pane, pasta, olio, vino), decontribuzioni, defiscalizzazioni, detassazioni, che toccano varie categorie, dalle casalinghe ai balneari. Non dimentichiamo la “pace fiscale”, ultima variante dei tanti condoni.
Impossibile fare i conti senza conoscere i dettagli, ma il primo effetto è un aumento del disavanzo pubblico che si proietta nel futuro se prevale anche il pensionamento anticipato tanto caro a Matteo Salvini. Mentre Giorgia Meloni ci mette del suo con la detassazione delle imprese che assumono più personale anche oltre il limite “fisiologico”. Il tutto a carico dell’insieme dei contribuenti. Il centrodestra pensa a proteggere le categorie degli autonomi (l’ormai storico partito delle partite Iva) senza dimenticare ovviamente la tutela “della nautica e delle imprese balneari”. La logica è redistributiva non produttiva, a eccezione della politica energetica dove accanto al tetto ai prezzi viene rilanciato “il nucleare di nuova generazione”.
La divisione di una torta che non c’è, prevale anche gettando un’occhiata a sinistra. Qui si punta sul taglio del cuneo fiscale. È fisiologico che il Pd guardi più ai lavoratori dipendenti. La differenza tra salario nominale e reale è un problema mai risolto e contribuisce a tenere bassa la retribuzione effettiva. La promessa è “dare un mese di stipendio in più”. Ma il vero problema dell’Italia, quello che l’allontana dai principali Paesi dell’Ue è l’appiattimento del reddito pro capite, conseguenza di un’ormai troppo lunga stagnazione. La soluzione non viene certo dal salario minimo obbligatorio per chi non ha contratti collettivi. Tanto meno da patrimoniali e patrimonialine che che sembrano contentini offerti alla sinistra della sinistra.
Nell’elenco delle promesse ci sono 500 mila alloggi popolari e più asili nido. La politica energetica punta tutto sulle rinnovabili, niente nucleare, ma glissa anche sul gas, e promette 470 mila posti di lavoro “verdi”.
La vera bandiera di Enrico Letta è la scuola. “Investire non tagliare”, portare gli stipendi degli insegnanti al livello della media europea nei prossimi cinque anni (costo stimato dai 6 agli 8 miliardi di euro). Nel programma anche scuola dell’infanzia gratuita e obbligatoria, la gratuità dei bus e dei libri di testo, un piano di edilizia che renda gli edifici sicuri e innovativi, attività extrascolastiche, orientamento per avvicinare le ragazze alle materie tecnico-scientifiche, servizi psico-pedagogici per gli studenti, l’accesso universale e gratuito dei bambini alle mense scolastiche, l’aumento dei docenti di ruolo di sostegno per i bambini e ragazzi con disabilità.
Quando si faranno i conti si vedrà che i programmi dei due schieramenti comportano spese molto, molto rilevanti alle quali non corrispondono entrate adeguate. Certo, c’è la solita lotta all’evasione, c’è la speranza che con meno tasse e più contanti si possa far crescere i redditi, c’è l’utilizzo di un tesoretto creato dal forte rimbalzo del 2021 che, però si sta esaurendo rapidamente.
Ma alla fine della fiera c’è come al solito il ricorso all’indebitamento. Poiché di qui al prossimo anno l’economia crescerà sempre meno (sperando che non si fermi del tutto) un deficit maggiore con uno sviluppo inferiore peggiora il debito sul Pil. Con tutto quel che segue: l’onere s’aggrava, oggi è già in media del 3,5% rispetto all’1,5% del debito tedesco e salirà ancora per la stretta monetaria della Banca centrale europea.
Lo spread è in agguato e il cosiddetto scudo della Bce non è gratis, perché implica una politica di bilancio equilibrata, anzi rigorosa. Nei programmi che abbiamo letto finora, non c’è mai scritto.
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