L’Onu mette mano ad una ipotesi di accordo per commercializzare il grano ucraino e manda una proposta ai russi per sbloccarlo. Lo scenario ricostruito dalla Bild parla di una serie di punti per venire incontro alle esigenze di Mosca: una banca per operare in relazione alla commercializzazione, un’assicurazione alle navi russe contro gli attacchi ucraini, ma anche un aiuto per recuperare i capitali russi congelati per le sanzioni e la possibilità di vendere i propri fertilizzanti trasportandoli nei porti europei. Un modo alla fine, per aggirare, su questo punto, le sanzioni che gravano sulla Russia dall’inizio della guerra. Ora, se il piano verrà confermato, bisognerà vedere se diventerà un accordo. Presumibile che prima di fare una proposta del genere siano stati contattati anche Usa, Ue e Nato.
Riguardo al conflitto gli ucraini dovrebbero stringere i tempi della controffensiva, mentre fa discutere il rifiuto di Elon Musk (smentito poi dall’imprenditore) di mettere a disposizione la rete satellitare di Starlink per un attacco ucraino alla flotta russa in Crimea. Le forze di Kiev, impegnate nella controffensiva, vedono avvicinarsi l’autunno e la riduzione delle operazioni militari. Intanto, spiega Giuseppe Morabito, generale con al suo attivo diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei direttori della Nato College Defense Foundation, Kiev è ancora in attesa delle munizioni annunciate dall’Europa, che attualmente non ha la capacità industriale di far fronte agli impegni.
Generale, quanto è vantaggiosa la proposta dell’Onu sul grano per la Russia e cosa comporta?
La proposta, su quattro punti, non è stata ufficializzata ma divulgata da un giornale tedesco, la Bild. Si tratta comunque di un piano apparentemente molto favorevole a Mosca e penalizzante per Kiev soprattutto dal punto di vista politico. Qualora fosse vera, la proposta costituirebbe un’apertura importante e testimonierebbe la notevole attenzione dell’Onu per la situazione economico-alimentare di molti Paesi del Terzo mondo.
Una proposta che l’Onu non può aver fatto da sola: accettare questi punti per la Ue significherebbe fare un passo indietro e lasciare, anche se limitata, una possibilità di azione ai russi nonostante le sanzioni?
È logico che in questa situazione tutti debbano fare un passo indietro. Se questa proposta esiste davvero, vuol dire che Guterres ha raggiunto un accordo di massima sia con gli Usa, sia con l’Ue e quindi con la Nato.
Vuol dire che l’Occidente si rimangia, almeno in parte, la politica delle sanzioni?
L’Occidente potrebbe aver riconsiderato la sua posizione a fronte della crisi nei Paesi più poveri. Le sanzioni in un certo modo bloccano il mercato di cereali e fertilizzanti russi, che sono essenziali per alcune nazioni. Ragionevolmente non c’è la possibilità, per l’Occidente, di poter colmare autonomamente il gap di produzione che si è creato. Se l’alleanza di Stati che si oppone a Mosca fosse stata in grado di produrre il grano necessario e fornirlo si sarebbe continuato con l’embargo e l’Onu probabilmente non avrebbe trattato la materia. L’Onu deve considerare il benessere di tutti i Paesi del mondo, anche perché sono rappresentati nella totalità a New York ed esprimono il proprio voto in assemblea. Comunque penso che, in un modo o nell’altro, l’accordo sul grano si raggiungerà. Troppo importante la sua commercializzazione per la stabilità interna di molti Paesi.
La questione del grano interessa anche all’Europa: l’Ucraina minaccerebbe addirittura un’azione legale contro l’Ue se fosse prorogato il divieto di esportazione di grano ucraino in Polonia, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria. Una frizione che rischia di dividere Kiev da Bruxelles?
È una questione che riguarda l’economia di alcuni Paesi europei: il grano ucraino non era soggetto a tassazione e dazi ed era molto concorrenziale rispetto ad altri Paesi, i cui produttori si erano risentiti perché vedevano diminuire le loro possibilità ed entravano in crisi economica. Il divieto d’importazione appare come una misura per la stabilità interna.
Se l’Ucraina dovesse arrivare a fare causa davanti all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) sarebbe un problema non da poco: quali conseguenze potrebbe avere?
Se gli ucraini si metteranno in condizioni di contrasto con l’Ue, sia pure dal punto di vista commerciale, davanti a un Tribunale internazionale, non sarà certo una mossa che potrà favorire la loro futura integrazione nell’Ue.
Fa discutere, intanto, la notizia secondo la quale Elon Musk si sarebbe rifiutato di mettere a disposizione la connessione internet Starlink che doveva essere utilizzata per un attacco ucraino alla flotta russa in Crimea. Musk avrebbe smentito, ma resta il problema: nella guerra moderna può avere un ruolo così importante anche un imprenditore privato?
Se fosse stato vero, dato che tutte le comunicazioni satellitari passano tramite la centrale operativa che fa capo alla rete Starlink, si poteva interpretare come se Musk avesse voluto mandare un segnale forte. Appare più che possibile che il sistema informativo e di comando e controllo ucraino dipenda fortemente da Starlink. L’imprenditore, però, avrebbe smentito la sua decisione di bloccare l’uso di Starlink per attaccare i russi. Anzi, ha invitato le parti ad accordarsi per una tregua. Al di là della sua volontà di non contribuire all’escalation della guerra, bisogna tenere conto che in futuro vorrà vendere i servizi legati a Starlink e vorrà farlo con tutti, senza che gli si possano “rinfacciare” scelte passate.
Blinken è andato in Ucraina per ribadire l’appoggio Usa, è stata l’occasione anche per smentire un eventuale invio di truppe americane in guerra. Il ministro degli Esteri Kuleba ha detto che non saranno mai chieste. Perché questo tema è diventato di attualità?
Le truppe Usa non potranno mai partecipare attivamente alla guerra, significherebbe un coinvolgimento degli Stati Uniti. L’Ucraina ha certamente bisogno di personale perché deve continuare ad alimentare le sue forze sul terreno. L’Ucraina non è stata invitata al G20 in India e Biden si è risentito per questo. Blinken con la sua visita a Kiev potrebbe anche aver voluto compensare tale mancato invito ribadendo il sostegno americano.
Per l’Economist l’amministrazione Biden ritiene che la controffensiva ucraina potrebbe chiudersi entro sette settimane. È solo perché poi arriverà l’autunno e le operazioni subiranno un brusco rallentamento per le condizioni del terreno?
Prima che arrivi la stagione meteorologica del fango dovuto alle piogge stagionali, in cui è difficile operare con cingolati, Biden spera che l’Ucraina sia in grado di produrre uno sforzo ulteriore per cercare di raggiungere qualche risultato in più di quelli ottenuti finora.
Si parla anche di un accordo possibile per la fornitura di armi tra Russia e Corea del Nord: quanto può pesare sul conflitto?
La Corea del Nord non ha un arsenale tale da poter fornire un sostegno significativo. Potrebbe solo dare un po’ di respiro alla macchina bellica russa in attesa che la produzione si adegui alle necessità attuali. Pyongyang non dovrebbe ragionevolmente svuotare completamente i suoi magazzini per aiutare la Russia e quindi il suo contributo alla guerra in Ucraina non può essere che relativo.
L’Ue ha promesso un milione di munizioni agli ucraini ma ne ha consegnate qualcosa in più di 200mila. La sua produzione annua sarebbe di 300mila anche se si sta pensando di attrezzarsi per aumentarla. C’è un problema di produzione legato all’industria bellica europea?
Certo. La produzione di materiale bellico, soprattutto di munizioni, era stata ridotta negli anni passati perché non se ne vedeva la necessità. Occorre affrontare una riconversione industriale, ma le aziende che devono allestire linee di produzione delle munizioni devono affrontare un impegno finanziario notevole. E bisogna assicurare loro per alcuni anni fatturato e commesse, anche dopo il conflitto. Ad esempio le commesse dei Paesi che hanno aiutato Kiev devono consentire piani industriali pluriennali comprensivi del ripianamento delle scorte nazionali. Sono linee di produzione costose e non s’improvvisano.
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