Le ultime rilevazioni dellOsservatorio Excelsior, realizzato da Unioncamere edAnpal, confermano una certa ripresa del mercato del lavoro, ma, al contempo, la crescente difficoltà da parte delle imprese a reperire i profili professionali necessari. Il disallineamento tra domanda e offerta rilevato a novembre 2021 (per il periodo nov 21-gen 22) ha raggiunto il record del 38,5%, con un incremento di circa 8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.



La motivazione più segnalata dalle imprese è la mancanza di candidati (22%) seguita dall’inadeguata preparazione di chi si propone (13,6%). I settori economici con più elevata difficoltà di reperimento di personale sono le costruzioni (53,7%) seguite dalle industrie metallurgiche (50,7%).

È una questione non nuova, che però sembra destinata a peggiorare nel breve e medio termine e sta creando problemi rilevanti soprattutto nei settori (è il caso di quello siderurgico) chiamati a dare una rapida risposta alla crescente domanda.



Le caratteristiche occupazionali del settore siderurgico

Secondo il “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi”, pubblicato dall’Istat ad aprile del 2021, nel 2018 (ultimo dato disponibile) l’industria siderurgica complessivamente impiegava circa 70 mila addetti diretti, ovvero il 2% degli occupati del settore manifatturiero nazionale. Restringendo l’analisi alla siderurgia primaria, secondo i dati più recenti raccolti da Federacciai, nel 2020 gli occupati diretti risultavano pari a 30,4 mila (-0,7% sul 2019), confermandosi secondo principale mercato dell’Unione europea con una quota sul totale del 9,3%, preceduto da Germania (25,5%) e seguito dalla Francia (8,1%).



In questo settore il contratto a tempo indeterminato disciplina la quasi totalità dei rapporti di lavoro (98% nel 2020); è uno dei principali elementi di fidelizzazione del capitale umano con dati che sono costanti nel tempo e può essere considerata una peculiarità del settore se confrontata con la manifattura nazionale e il sistema Paese, dove la quota dei contratti a tempo indeterminato si ferma nel 2018-2019 all’87% per la manifattura e all’83% per il sistema economico nazionale.

Anche il turnover in uscita – definito dal rapporto tra il personale in uscita e lo stock di personale del periodo precedente -, così come il turnover in entrata, si attestano nel biennio 2019 e 2020 attorno al 5%. È un indicatore importante perché testimonia di una gestione fisiologica del ricambio del personale e più in generale di un’eccellente gestione delle relazioni industriali.

Per una più ampia trattazione di questi argomenti, si consiglia la lettura del “Rapporto di Sostenibilità 2021″ presentato da Federacciai in occasione dell’ultima Assemblea Sociale”.

L’industria siderurgica del Nord

Negli ultimi quindici anni l’industria siderurgica presente nel Nord Italia ha resistito ai momenti di crisi (in particolare alla recessione di fine 2008 e 2009) investendo in impianti, prodotti e formazione. Negli ultimi 5 anni ci sono stati importanti investimenti innovativi con una crescita del fabbisogno di manodopera qualificata soprattutto in Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

Quello siderurgico è un mercato del lavoro dinamico, che genera lavoro stabile come dimostrano crisi recenti che hanno portato alla chiusura di alcuni impianti (ex Stefana in provincia di Brescia e Acp in provincia di Bergamo) senza generare tensioni sociali con la ricollocazione degli esuberi nelle altre aziende siderurgiche. 

Il solo rimpiazzo del turnover rappresenta uno sbocco occupazionale affidabile e certo per il presente e il futuro.

Le crisi di Taranto e Piombino

Senza entrare nel merito delle motivazioni e delle responsabilità delle crisi di Taranto e Piombino – peraltro non arrivate ancora a una soluzione definita e certa sia in termini impiantistici che occupazionali – è comunque evidente che a esito degli auspicati processi di ristrutturazione e rilancio ci sarà un problema di esuberi strutturali ai quali si dovrà dare una risposta.

L’intensità di manodopera necessaria per gestire i processi siderurgici a ciclo integrale (cokeria, agglomerato, altoforno e convertitori) è molto più elevata rispetto a quella che caratterizza la produzione da forno elettrico. La produzione di acciaio pro capite di un’azienda a forno elettrico può variare, in base all’efficienza e alla tipologia di prodotto, dalle 1.000 alle 1.400 tonnellate all’anno. Nella siderurgia a ciclo integrale (com’è attualmente Taranto e com’era fino al 2014 Piombino) la produzione pro capite sarebbe di poco superiore alle 700 tonnellate all’anno; Quand’anche dovesse essere installato a Piombino un forno elettrico, atteso dal 2014, e qualora, come sembra ormai assodato, il processo di decarbonizzazione dello stabilimento di Taranto dovesse passare attraverso una sostituzione parziale o totale degli altoforni con forni elettrici, il contraccolpo occupazionale sarebbe molto significativo. A parità di volume prodotto ci sarebbe un’eccedenza occupazionale molto importante e di non facile gestione laddove la capacità produttiva è molto alta (è il caso di Taranto). In proposito si richiama un nostro precedente articolo pubblicato il 9 giugno di quest’anno su queste pagine.

Un problema occupazionale, stimabile in qualche migliaio di esuberi, non potrà essere affrontato con strumenti ordinari e richiede che da subito si cominci a progettare interventi straordinari che nel loro insieme possano concorrere alla gestione di straordinarie questioni sociali. Tra questi progetti, ne suggeriamo uno che, seppur limitato quantitativamente, può concorrere, con altri progetti innovativi o tradizionali che siano, a risolvere le crisi occupazionali strutturali e di singoli territori.

Una proposta concreta

Un progetto – abbiamo pensato di intitolarlo “SolidalAcciao!” – che vuole mettere in correlazione il fabbisogno manifestato da diverse imprese siderurgiche che operano nel settentrione d’Italia con risorse professionali siderurgiche già oggi disponibili, ma che saranno ancora maggiori con le annunciate (e necessarie) ristrutturazioni ambientali e impiantistiche di Taranto e Piombino.

È fondamentale il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali alle quali deve essere chiesto non solo di condividere il progetto, ma di operare per renderlo meno gravoso per i lavoratori e controllare che la gestione sia coerente con gli impegni presi. Chi scrive ritiene inoltre che per rendere percorribile il progetto devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:

– L’azienda ricevente deve offrire uno standard abitativo decoroso anche per la famiglia del lavoratore, usufruendo di esenzioni fiscali per gli immobili adibiti ad abitazione del personale assunto;

– L’azienda ricevente, dopo un periodo di prova non superiore a tre mesi, deve garantire un contratto a tempo indeterminato alle stesse condizioni del proprio personale. Qualora fosse necessario un addestramento, si devono attivare misure simili al “Fondo nuove competenze“, eventualmente integrate da risorse dei Fondi Bilaterali. Le imprese beneficeranno, inoltre, dei sussidi previsti dalle norme vigenti a favore di chi rileva lavoratori dalla Cig; 

– Il meccanismo di reclutamento deve essere chiaro e trasparente, realizzato attraverso bandi collettivi, escludendo trattative singole;

– L’adesione del lavoratore è su base volontaria e la non disponibilità non genera penalizzazioni o discriminazioni. Si può prevedere che la Cig residua resti a disposizione del lavoratore per 12 mesi qualora ci sia un ripensamento del singolo lavoratore. Decorso tale periodo si potrebbe prevedere una sua trasformazione in forme di decontribuzione a favore di imprese e lavoratori.

Questa è la proposta, forse non molto originale, ma certamente concreta e coraggiosa. Sì, coraggiosa perché le obiezioni saranno certamente numerose e alcune le abbiamo ben presenti perché non c’è dubbio che sarebbe molto più corretto formulare progetti che colmino il divario Nord-Sud con insediamenti produttivi realizzati nelle regioni meridionali. E invece qui si propone ancora una volta (dicono quelle critiche) il solito “viaggio da Sud a Nord”. 

Tutto vero e condivisibile, ma mentre siamo in attesa delle nuove fabbriche nel Sud che si fa nel settore siderurgico? Cassa integrazione senza fine da un lato e mercato del lavoro fuori controllo? Noi troviamo sia limitativo dire “prima gli italiani”, ma oggi al lavoro ci vanno prima gli immigrati perché gli italiani preferiscono battersi per procrastinare la Cig anziché cogliere le concrete opportunità di lavoro. È una verità amara, ma nasconderla non aiuta il Paese.

La Cig è un palliativo mentre il lavoro, oltre a essere la soluzione, è un diritto sancito dalla Costituzione. Ma il lavoro è un diritto incompiuto se non si accompagna, laddove ce ne siano le condizioni, alla possibità di salvaguardare il mestiere che si è imparato dopo anni di applicazione sul campo. Traslocare dalla propria comunità geografica per rimanere nella propria comunità professionale per alcuni può avere un senso ed essere un valore.

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