Ieri la Commissione europea ha adottato una proposta per rafforzare i meccanismi di gestione delle crisi bancarie in Europa. La proposta, che arriva dopo le crisi di alcune banche regionali in America, vuole migliorare la protezione dei depositi in caso di crisi e impedire contagi potenzialmente distruttivi. Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, sempre ieri, ha ricordato che più a lungo durerà il processo di ratifica del Mes meno rapidamente potrà essere introdotto lo strumento di “backstop” per la risoluzione bancaria. Il Mes, infatti, sarà lo strumento di ultima istanza per finanziare le risoluzioni. L’Italia, che non ha ratificato il trattato, è chiamata in causa.
Per capire quello che sta succedendo bastano due elementi. Il primo è che il settore bancario in questa particolare fase storica si trova in una situazione rischiosa. Per un lungo periodo di tempo lasciare i depositi sui conti correnti bancari è stata un’opzione poco costosa, in termini di opportunità perse, per i risparmiatori. L’inflazione era contenuta e i rendimenti dei titoli di stato e di una larga fetta del mercato obbligazionario non particolarmente interessanti. Oggi le banche hanno una competizione molto più serrata per i risparmi dei depositanti, perché l’inflazione è alta e i tassi sono saliti. Per le banche il costo della raccolta sale. Dall’altra parte ci sono attivi che sono difficili da smobilizzare, sia perché le obbligazioni sono state comprate a prezzi molto più alti di quelli attuali, sia perché un rallentamento economico o addirittura una recessione renderebbe molto difficile liberarsi di prestiti e mutui alla pari. Uno scenario di recessione e magari di stress finanziario troverebbe le banche particolarmente vulnerabili in questa fase.
Le crisi bancarie possono essere risolte solo dagli Stati, a meno di mettere in conto una crisi di fiducia che è molto difficile da contenere soprattutto in un quadro di rallentamento economico e tensioni geopolitiche. Le crisi bancarie nate dopo il 2008 sono tutte state risolte, senza distinzione, da interventi “pubblici”, o direttamente o tramite le banche centrali. Questa ovvietà ha avuto le ennesime conferme con quanto fatto dagli Stati Uniti a valle del fallimento di Silicon Valley Bank e con quanto messo in piedi dalla Svizzera con la crisi di Credit Suisse. L’origine della crisi può certamente scaturire da una particolare banca che ha avuto politiche di investimento o di concessione del credito azzardate se non completamente sbagliate in buona o cattiva fede, ma l’impatto è quasi immediatamente di sistema, soprattutto, ripetiamo, in uno scenario particolare come quello attuale; vuoi per la rottura di alcuni trend storici, sui tassi e l’inflazione, vuoi per la possibilità di un rallentamento economico. Una recessione, in ogni caso, ha sempre un impatto diretto e significativo sulle banche.
Solo gli Stati possono salvare il sistema bancario nel quadro attuale e lo possono fare solo a debito e solo con il supporto delle banche centrali. Negli Stati Uniti il perno è la Fed e il Governo americano, in Europa sarà il Mes che impone condizionalità politiche e che ha lo stesso Dna della decisione con cui l’Europa ha salvato gli e-fuels tedeschi e condannato i biocarburanti italiani. Legare il Mes alla risoluzione delle crisi bancarie nell’attuale contesto macroeconomico e finanziario è un bellissimo modo per farlo ratificare a furor di popolo, perché ancora più che in altre crisi questa volta, se mai ce ne sarà una, arriverà direttamente e senza filtri sulle banche di tutti. Qualcuno potrà salvarle “gratis”, senza pagare dazi politici, qualcun altro che ha tanto debito no. L’austerity è solo uno dei tanti costi, come si è visto in Italia nel 2012.
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