È stato pubblicato, due giorni fa, sulla Gazzetta Ufficiale un nuovo Decreto Legge contenente ulteriori misure urgenti in materia di trattamento di integrazione salariale, nonché proroga di termini in materia di reddito di emergenza e di emersione di rapporti di lavoro. Il testo prevede, sostanzialmente, alcune deroghe alla normativa vigente.
Si stabilisce, ad esempio, che i datori di lavoro che abbiano fruito del trattamento di integrazione salariale ordinario, straordinario o in deroga, per l’intero periodo precedentemente concesso, fino alla durata massima di quattordici settimane, possano fruire di ulteriori quattro settimane anche per periodi decorrenti prima del 1° settembre 2020. Resta, tuttavia, ferma la durata massima di diciotto settimane, considerati cumulativamente i trattamenti riconosciuti.
Indipendentemente poi dal periodo di riferimento, i datori di lavoro che abbiano erroneamente presentato la domanda per trattamenti diversi da quelli a cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori od omissioni che ne hanno impedito l’accettazione possono ripresentare la domanda nelle modalità corrette entro trenta giorni dalla comunicazione dell’errore nella precedente istanza da parte dell’amministrazione.
Sono, quindi, prorogati dal 15 luglio al 15 agosto 2020 i termini per la presentazione delle istanze di regolarizzazione dei lavoratori stranieri nonché, dal 30 giugno al 31 luglio 2020, quelli per la presentazione delle domande per il Reddito di emergenza.
Si posticipano, insomma, gli effetti del decreto rilancio sulla base del principio, ampiamente condivisibile, per cui nessuno deve rimanere solo senza protezione e reddito. Sembra, tuttavia, che sia solo un modo per rimandare il tempo delle scelte che, prima o poi, arriveranno.
Usciranno, in questa prospettiva, idee utili alla ripartenza del Paese dagli Stati generali dell’economia di questi giorni e dal lavoro del super-team guidato da Colao? Rinviare, infatti, il tempo delle decisioni, anche sofferte se necessarie, ha un senso solo se queste settimane sono spese per la definizione, e implementazione, di piani e progetti per far ripartire il Paese.
Il rischio che stiamo correndo è di “congelare”, anche correttamente, il lavoro e le normali dinamiche del suo mercato, come i licenziamenti, ma senza, allo stesso tempo, immaginare il dar farsi quando questo tornerà a una sua, per quanto diversa, normalità. Quali progetti, ad esempio, per chi dopo la cassa integrazione, anche nella sua versione extra-large, non potrà essere, in ogni caso, protetto e verrà espulso dal mercato del lavoro? Il “terzo stato” dei nostri tempi aspetta risposte concrete.