Una “protesta pacifica” che viaggia sui social con gli hashtag #ioapro e #nonspengopiùlamiainsegna. L’appuntamento per proprietari ed esercenti di bar e ristoranti, stremati da 10 mesi di chiusure e misure restrittive, è per venerdì 15 gennaio, alla vigilia dell’entrata in vigore di un nuovo Dpcm che dovrebbe prevedere restrizioni ancora più severe per le attività di ristorazione. Oltre 50mila ristoratori in tutta Italia hanno già aderito e apriranno i loro locali a pranzo e a cena, rispettando le regole: “Ai partecipanti – si legge nell’appello – è richiesto di accomodarsi al tavolo assegnato (non più di 4 persone per tavolo) e di rimanere seduti e composti. La mascherina andrà indossata per accedere al locale e per alzarsi per qualunque motivo. Una volta seduti potrà essere tolta, piegata e messa via. Non sarà possibile somministrare cibi e bevande, quindi consumarle in loco”. “Non spengo più la mia insegna, io apro” è il manifesto dell’iniziativa, “volta a dimostrare il nostro senso di responsabilità e la nostra capacità di rispettare e far rispettare le regole di prevenzione del Covid-19. Vi chiediamo di passare una mezz’ora con noi e di pubblicare un selfie con gli hashtag #nonspengopiùlamiainsegna e #ioapro taggandovi all’interno dal locale. Tutti i partecipanti verranno omaggiati con un piccolo ringraziamento d’asporto per la collaborazione. Grazie per il supporto”. Siamo in presenza di un gesto di disobbedienza civile o al grido disperato di una categoria che non vuole chiudere? “Premesso che come associazione non possiamo appoggiare questa iniziativa che va contro le norme vigenti in fatto di chiusure anti-Covid – osserva preoccupato Augusto Patrignani, presidente della Confcommercio della provincia di Forlì-Cesena – è altrettanto vero, però, che il grido di allarme del settore dei pubblici esercizi va ascoltato, il governo deve capire che il tempo è scaduto: o si dà loro la possibilità di aprire, in sicurezza, e di riavviare l’attività oppure occorre provvedere ad assicurare ristori non forfettari, totalmente inadeguati, bensì rapportati ai fatturati dei singoli esercizi”.



Quanto è drammatico questo grido di allarme?

Quando per tanti mesi non si possono aprire le attività e non si riesce a fare fatturato, e quindi a far fronte ai propri impegni, che anche in questa lunga emergenza non sono mai venuti meno, la situazione non può che essere disperata.

Il governo sta pensando di vietare l’attività di asporto dalle 18 in avanti. E’ la goccia che fa traboccare il vaso?



No, non penso. Il malessere covava da tempo, ben prima dell’intenzione di arrivare a questa disposizione normativa. Certo che, quando si è immersi in una situazione già difficile, se si va a peggiorarla, non si aiuta il confronto.

Sono stati 10 mesi di emergenza, tra chiusure, riaperture con limitazioni e richiusure. Come giudicate le misure adottate via via dal governo?

Non le giudichiamo bene. I pubblici esercizi sono stati chiusi, eppure i contagi aumentano. Se rimangono aperti i supermercati, significa che rispettando le precauzioni e il distanziamento, fra le persone e fra i tavoli, possono restare aperti anche un bar o un ristorante. Si tratta di far rispettare le regole all’interno dei pubblici esercizi e nei ristoranti, magari con controlli più assidui.



Distanziamento, divisori in plexiglas, igienizzanti: i ristoratori si sono adeguati, anche a proprie spese, alle misure anti-Covid. Che cosa non ha funzionato?

Non lo sa nessuno e molto probabilmente non lo sa neppure il governo. Anche gli scienziati brancolano un po’ nel buio, dicono tutto e il contrario di tutto. C’è un’incertezza generale e sembra che nessuno sappia effettivamente che cosa stia succedendo e quale sia la fonte di questi contagi che aumentano.

Bar e ristoranti sono luoghi di contagio?

Molto probabilmente lo avranno anche pensato, ma non è dimostrato, non esiste alcuna evidenza epidemiologica che lo conferma.

Si può fare un bilancio sul prezzo – tra chiusure e fallimenti – che il settore della ristorazione ha pagato all’emergenza Covid?

Il settore dei pubblici esercizi ha sicuramente perso centinaia e centinaia di milioni di euro, senza dimenticare le migliaia di chiusure e fallimenti. E presto ci saranno altri ristoratori che non riusciranno o vorranno riaprire, perché, avendo in corso investimenti anche importanti, non saranno in grado di onorarli. Senza fatturato, come si può stare in piedi?

Il governo di appresta a varare il decreto Ristori 5: sul tavolo finora sono stati stanziati una trentina di miliardi. Quanti aiuti sono davvero arrivati agli operatori della ristorazione?

Gli aiuti che sono arrivati si sono limitati a 3-4 mila euro forfettari, non sono stati distribuiti in base ai fatturati degli esercizi. Sono cifre ridicole, sono un’elemosina rispetto ai costi che un ristoratore deve accollarsi, a partire dall’affitto, dalle bollette e dagli investimenti fatti, che vanno restituiti rata dopo rata.

E sul fronte dell’occupazione?

La cassa integrazione avrà anche dato un po’ di sollievo, ma quando un ristoratore non può aprire o lavorare al massimo al 50% non è detto che tutto il personale abbia il posto assicurato. E’ una situazione molto, molto difficile. Se il governo chiede a un’attività di restare chiusa, non può non aiutarla facendosi carico dei costi della chiusura.

Che cosa chiedono i ristoratori al governo?

I ristoratori vogliono lavorare e quindi la richiesta è di poter riaprire in sicurezza. E per farlo ci sono già i protocolli e i Dpcm con le norme da rispettare. Si possono inasprire un po’ di più i distanziamenti, si possono incentivare anche i sistemi di prenotazione online, senza però imposizioni e lasciando a ciascun ristoratore la soluzione migliore. Ma l’importante è che sia consentita anche l’apertura serale. In alternativa devono arrivare – subito, senza più alcun indugio – dei ristori veri, soldi che consentano loro di stare in piedi, di non indebitarsi troppo e di non saltare per aria. Sono anche le richieste che stiamo portando come Confcommercio ai tavoli con i prefetti e con il governo.

Il governo che cosa dovrebbe fare a questo punto giunti?

Il governo deve capire che questo grido d’allarme è vero, deve mettere mano ai ristori e deve dire con chiarezza quando sarà possibile aprire in sicurezza, così che i ristoratori abbiano il tempo per organizzare la ripresa dell’attività.

Quanto tempo ci vorrà per far ripartire questo settore?

Il tempo è già scaduto. Le aziende non hanno più l’ossigeno e avremo presto una morìa di imprese fuori dal normale.

Le ragioni della salute e quelle dell’economia devono per forza fare a pugni?

No, non dovrebbero. Dopo il vaccino della salute ci vorrebbe anche un vaccino dell’economia, che per i ristoratori significa poter stare aperti in sicurezza, così da salvaguardare un tessuto economico, imprenditoriale e sociale importantissimo per il nostro paese.

(Marco Biscella)