Sto dalla parte di Michele. Michele chi? Il mio amico da una vita, l’agricoltore Michele. Dalla parte delle sue vacche (altrimenti come faremmo per il Parmigiano Reggiano), della sua terra (così legata al trascorrere delle stagioni), della sua stradina polverosa che si schiude sull’aia con il “barsò” per la griglia e il ricovero dei mezzi agricoli. Insomma, quelle tipiche aziende familiari come ce ne sono (ormai poche) dalle nostre parti, in questo spicchio di territorio di produzione del Parmigiano. Badate bene che ve lo dice uno come me che ha ben poca “simpatia” per la vita agreste, forse a causa di quell’episodio dell’infanzia nel quale, andato nel cortile della casa colonica degli amici dei miei genitori a raccogliere margherite per la mamma, mi ritrovai circondato da un branco di oche urlanti e sufficientemente nervose, probabilmente affamate… di me.
Ma tralasciando questo episodio tipicamente freudiano, rimane il fatto che ero, sono e sarò un cittadino del borgo fino in fondo. Ciò non toglie però che sto dalla parte di Michele e di tutte quelle persone che con innumerevoli sacrifici si fanno “un mazzo” enorme nel lavorare i campi e nelle stalle. Sacrifici, ma anche tanto amore. Sì perché, (checché ne dica Michele “ma quale amore d’Egitto…”) non si può fare quel lavoro per una vita se non arrivasse a toccare una corda nel profondo del tuo animo, se non muovesse quella passione così caratterizzante l’umano dell’investire e trasformare il reale. Ho imparato da lui, nelle calde serate estive o in quelle invernali, in quei dialoghi talvolta a monosillabi, a scorgere quella scintilla di infinito che c’è nella natura o di promessa, come scriveva Pavese: “un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Gli stessi identici tratti colti in tante interviste che in questi giorni di protesta degli agricoltori si sono succedute sui media.
Certo non sono mancate rabbia e contestazione accesa, ma quanta tenacia e decisione, forse perché si sta comprendendo che non si difende solo il piccolo “orto” di casa o uno “stile” di vita, ma l’esistenza stessa di questa agricoltura. Sta giungendo un segnale forte dagli agricoltori in tutta Europa e per l’Europa delle decisioni e dei palazzi. Un segnale forte per quell’élite da salotto, per quei grilli parlanti (o da tavola) o per quelli degli aperitivi in ZTL con la Tesla.
Speriamo che la politica possa trovare le giuste mediazioni e prevalga quel senso del bene comune che solo può costruire nel futuro. Intanto, prima che spariscano del tutto, prima che vengano sostituite da tisane antiossidanti che fanno bene, vado a gustare due “vissole” (ciliegie) sotto spirito (quello alcolico) del mio amico Michele. Non si sa mai che l’Europa ci metta il becco.
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