Certe volte, più in Argentina ma spesso anche in Italia, mi capita di dare un’occhiata prima allo specchio e successivamente al calendario per rendermi conto di vivere nell’anno 2021. Perché spesso succede di aver l’impressione come se il mondo si fosse per molti fermato e, pensando di sbagliarmi io, faccio queste semplici verifiche. Mi pare di essere ormai circondato da gente che invece non si rende conto di ciò e letteralmente pascola in una favola che ormai non ha più nessun contatto con la realtà da decenni.
I recenti disordini scoppiati a Cuba, che hanno aperto una crepa ormai indelebile in un regime fuori tempo, e le reazioni di certi segmenti della società che più che essere definiti di sinistra paiono ormai riflettersi nel settore radical-chic, mi hanno di fatto illuminato su come ormai i negazionisti Covid siano in buona compagnia. Ma almeno questi ultimi, partecipi nella teoria del complottismo cosmico, si esercitano su un tema sul quale esistono poche certezze sulla sua origine, dando spazio alle teorie più insensate possibili. Ma nel caso di Cuba, come in quello del Venezuela, siamo veramente in un viaggio cosmico che ha aspetti a dir poco comici, se non si trattasse di due tragedie umane.
L’altro giorno in una trasmissione di un canale televisivo argentino si confrontavano un giovanissimo esponente di un movimento comunista (che, ironia della sorte, si chiama Del Popolo) e un intellettuale cubano che da quattro anni risiede a Buenos Aires. Da rilevare che il “comunista” di turno è pure un ricercatore, ma non ha mai passato nemmeno un minuto della sua vita nel “Paradiso Caraibico” made in Fidel. E sistematicamente negava quello che ormai da anni è sotto gli occhi di tutti coloro che a Cuba ci sono veramente stati: la povertà, la decadenza istituzionale e pure la ricchezza di un’oligarchia politica dominante che, come capita nel mondo populista, declama con altrettante dichiarazioni, che più che idee sembrano schede, le bontà del regime e la lotta al capitalismo, ma vive una ricchezza invidiata da molti pure negli Stati Uniti.
Insomma, il povero intellettuale cubano da una parte sciorinava esempi della sua vita quotidiana, la scarsità di alimenti in vendita, le situazioni abitative fatiscenti, il mitico sistema ospedaliero cubano funzionante solo per i ricchi occidentali, in pratica la tragedia che lì viveva tutti i giorni e dall’altra il poverissimo ragazzino indottrinato altro non declamava che il solito hit della colpa dell’embargo Usa, che da decenni giustifica le situazioni create dal populismo.
Si è poi arrivati all’assurdo di dire che a Cuba ci sono state elezioni libere e democratiche. Ma alla domanda (logica) con quanti partiti la sua risposta è stata lapidaria: “Nessuno”. Sembra incredibile, ma queste convinzioni, al limite della logica, appartengono purtroppo anche ai tanti che continuano ad alimentare la favoletta di Fidel Castro e del suo regime.
Nel 1977, spinto dall’entusiasmo sopratutto per la mitica figura del Che, e anche per una conoscenza profonda dei Paesi europei del blocco Urss (dove già collaboravo con iniziative culturali) nei quali il Che era, come Castro, mitizzato, mi recai a Cuba per conoscere da vicino la situazione. Lo feci per quello spirito giornalistico che mi spingeva al viaggio come mezzo per conoscere da vicino certi “miti” e poterli valutare direttamente in loco, cosa che già mi aveva permesso di demitizzare altri fenomeni.
Ricordo ancora quel viaggio, con un volo Interflug (la Compagnia aerea dell’ex Ddr, l’unica che collegasse Cuba all’Europa) dai mille scali e un arrivo all’Avana che mi parve, vista la lunghezza del volo, di aver raggiunto in una caravella di colombiana memoria. Ebbene, quello che mi sembrò paradisiaco senza se e senza ma fu sicuramente la bellezza di un’isola assolutamente proverbiale, addirittura emozionante se connessa con la cordialità della sua gente, sebbene l’approccio con diverse istituzioni culturali e le visite in alcuni ospedali mischiasse la bellezza delle prime (basti pensare alla scuola di danza classica, per esempio) ai dubbi che mi vennero nei secondi, dove già si registravano cliniche bellissime (ma con pazienti stranieri) a ospedali pubblici non proprio in buone condizioni.
C’è pero da dire che in quegli anni esisteva ancora l’Urss, che in pratica manteneva Cuba: ma nonostante ciò già si vedeva chiaramente la povertà immensa in cui viveva la gente e la mancanza di generi di prima necessità. Successivamente decise di aprirsi al tanto odiato capitalismo e Cuba si riempì di alberghi di lusso, in gran parte spagnoli, che alimentarono un flusso dei tanto “odiati” dollari che solo marginalmente raggiunsero la popolazione.
Ma la cosa che più mi colpì di tutto il soggiorno (circa un mese) fu che molte volte notavo come, quando parlavo della figura di Che Guevara, mi arrivassero occhiate non proprio benevole. Alcuni giorni dopo mi incontrai con un gruppo di persone che mi invitò a casa di uno di loro ad assaggiare il suo ron: capii che mi si voleva spiegare qualcosa che non si poteva fare in un luogo pubblico. Difatti non solo mi si illustrò la tragica situazione che già avevo in gran parte visto e capito, ma mi si demolì la figura del Che, presentandola come un disastro organizzativo e un personaggio che sapeva parlare benissimo (lo aveva dimostrato in un memorabile discorso all’Onu anni prima), ma assolutamente pervaso da un odio immenso che può sintetizzarsi nella frase: “Amo l’odio, bisogna creare l’odio e l’intolleranza tra gli uomini, perché questo rende gli uomini freddi, selettivi e li trasforma in una perfetta macchina per uccidere”. E difatti lo stesso Che condannò a morte diverse persone, anche amiche sue, solo per il fatto di mettere in discussione le sue idee.
Non solo: mi si informò di come, al contrario dell’ideale di libertario intellettuale che è stato costruito abilmente da un marketing politico dopo la sua morte, fosse razzista e odiasse sia neri che omosessuali. E via con sfilze di aneddoti e riflessioni, poi controllate minuziosamente, che mi fecero capire come per anni avevo abboccato a un amo di un’esperienza politica che, purtroppo, era l’antitesi della parola libertà.
Ecco, per me quel soggiorno fu illuminante di una situazione sulla quale avevo idee non proprio chiare: la libertà di pensiero è però fondamentale, ma invito tutti coloro che hanno criticato le proteste che ancora continuano e vengono represse a Cuba a riflettere che forse la causa di questa, come di altre tragedie che continuano purtroppo in una America Latina ancora in grave pericolo sia dal punto di vista sociale che politico, non è da ricercarsi nell’embargo Usa. Ma poi, scusate, volete che, abolendo definitivamente una sanzione economica che è già di fatto marginale (visto che altri Paesi “capitalisti” hanno libero mercato con Cuba) il capitalismo che odiate risolva le situazioni di crisi? Guardate Taiwan, tanto per citare un esempio: soffre di un embargo commerciale con la vicina Cina, ma, al contrario di Cuba, ha un’economia capitalista di libero mercato, al contrario di quella socialista pianificata cubana. Taiwan ha un tasso di povertà dell’1%, Cuba del 90%. Chissà perché?
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