Sarebbero almeno 50 le persone rimaste uccise nella repressione delle grandi manifestazioni popolari in Iran a seguito della morte di Mahsa Amini, la 22enne deceduta mentre era sotto la custodia dalla polizia morale per non aver indossato correttamente lo hijab.
Manifestazioni che svelano il grande scollamento fra società civile e regime islamista in un Paese che, come ci ha detto in questa intervista Rony Hamaui, docente di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, “è sempre stato, prima ma anche dopo l’avvento di Khomeini, il Paese più laico e occidentale tra tutti quelli arabi”.
Il regime ha convocato manifestazioni a difesa del velo per cercare di isolare i manifestanti, e ovviamente usa la forza tanto che, ci ha detto ancora Hamaui, “difficilmente penso che questa primavera iraniana come già successo altre volte in passato possa ottenere una vittoria”.
Da quanto abbiamo potuto vedere dalle immagini che arrivano dall’Iran, a queste manifestazioni di protesta prendono parte anche persone anziane, non solo giovani. La protesta attraversa tutta la società iraniana?
Sì, c’è una partecipazione a tutti i livelli. Nonostante questo, ritengo che come era successo per le primavere arabe anche questa primavera iraniana difficilmente avrà uno sbocco positivo. Non dimentichiamo che il regime al potere sta ottenendo due successi importanti.
Sarebbero?
Il primo lo ha ottenuto a livello internazionale prendendo parte al vertice di Samarcanda, incontrando Putin e Xi Jinping e vedendosi riconosciuto e accettato in questa sorta di fronte anti-occidentale che sta prendendo forma seppure con i suoi distinguo. L’altro fatto rilevante sono le voci sempre più insistenti di una chiusura degli accordi sul nucleare, con la conseguente abolizione degli embarghi economici. Per il regime sarebbe un’altra grande vittoria spendibile sul piano interno.
Se il regime riuscisse a riportare la società a un livello economico dignitoso, le proteste si placherebbero?
Non voglio sottovalutare l’importanza di queste manifestazioni, ma guardando i fatti sul piano razionale, il regime iraniano rimane ancora forte. Reprimeranno questa fase e poi cercheranno di gestire la nuova congiuntura internazionale. Una nuova guerra fredda li aiuta a trovare una nuova collocazione internazionale e gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse a chiudere la questione del nucleare iraniano per non sovrapporla al fronte ucraino.
Che in Iran ci fosse una divisione fra società e regime si sapeva da tempo; oggi quanto è significativa?
La società iraniana è sempre stata particolarmente laica, più che in qualunque altro Paese arabo da cui si distinguono per lingua, cultura e in parte religione. L’avvento del khomeinismo ha imposto un regime autoritario, ma la società sotto la cenere e l’apparenza è fortemente laica ed è fortemente occidentalizzata. Andando in Iran lo si capisce: non ci si accorge neppure di essere in un Paese arabo, tanto è aperto al mondo. Anche da un punto di vista tecnologico, nonostante le sanzioni, sono riusciti a costruire i droni che oggi vendono ai russi. In campo missilistico e aeronautico fanno cose incredibili.
Insomma in Occidente abbiamo una immagine stereotipata e distorta?
Le sanzioni, lo dicono tanti studi economici, hanno portato in Iran a una crescita di una serie di settori davvero incredibile. Hanno i social, hanno il loro Amazon, hanno costruito una realtà industriale anche in campo hi-tech che ha svolto e svolge ancora un ruolo importante. Poi certamente, come vediamo in questi giorni, il regime blocca Internet, ma sanno benissimo che più che il velo fra qualche giorno la gente chiederà la riapertura di Internet.
Ma esiste una realtà se non di politici, di intellettuali in grado di pensare a un Iran alternativo?
L’Iran è ricchissimo di intellettuali indipendenti, basti pensare al cinema iraniano e al successo che ha al mondo. Fare un film è molto più difficile che scrivere un libro. Anche in campi che richiedono forti investimenti c’è una società civile che riesce comunque a emergere.
Purtroppo il regime ha la mano pesante. I registi troppo indipendenti finiscono in carcere e non possono più fare film…
Assolutamente sì. Come in altri regimi che ci sono al mondo.
A proposito di Internet, il governo americano sta pensando di allentare le sanzioni in modo che torni a essere fruibile e usato per sostenere le proteste. Che ne pensa?
È una notizia molto interessante. Ritengo che un ripensamento sulle sanzioni meriterebbe di essere fatto. È vero come dice Israele che il regime ne approfitterebbe per portare avanti le armi nucleari o finanziare il terrorismo internazionale, ma ne gioverebbe anche la società civile, che forse in questo modo avrebbe più possibilità di costruire una vera alternativa.
Quindi in sostanza queste manifestazioni finiranno in un nulla di fatto sotto il profilo politico?
Bisogna fare attenzione. Quando si fanno saltare regimi così, c’è il rischio di avere un vuoto politico destabilizzante, come è successo in Libia e in Iraq. Se il regime non si modifica dall’interno, le cadute improvvise rischiano di procurare più danni. C’è chi dice speriamo che Putin cada. E poi il minuto dopo cosa succede? Sarà peggio o meglio? Un po’ di sano realismo ci dovrebbe indurre a molta cautela, pur sostenendo e ammirando queste donne che scendono in piazza.
(Paolo Vites)
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