Si allarga la protesta in Iran. Dopo le donne è sceso in piazza il mondo del lavoro, in particolare chi è impegnato nei bazar, importante ramo di attività del Paese, gli insegnanti, gli avvocati e anche gli operai delle fabbriche e del settore petrolifero. Secondo quanto si legge da parte di oppositori del regime in esilio, è l’inizio di una vera rivoluzione contro gli ayatollah. È davvero così? E se fosse così, quanto potrà la protesta popolare resistere di fronte all’uso della repressione, che in un mese di proteste ha già ucciso 201 persone, tra cui 23 bambini?
“Non penso si possa parlare di inizio di una rivoluzione: le incognite sono tante e, soprattutto, affinché una rivoluzione abbia successo, come dimostra la storia, bisogna che il regime sia corrotto e in fase di auto-dissoluzione, cosa che il regime iraniano non è” ci ha detto in questa intervista Rony Hamaui, docente di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica.
Nelle manifestazioni contro il governo e il regime alle donne si sono aggiunte nei giorni scorsi le più importanti categorie del mondo del lavoro. Secondo lei, è il segno che la protesta si sta allargando e che dietro l’angolo può esserci una vera e propria rivoluzione in arrivo?
Non so se stiamo assistendo a un autunno iraniano che si possa paragonare a qualche primavera araba. Partiamo da lontano. L’accordo Libano-Israele è stato certamente benedetto dall’Iran, anche se ha giocato un ruolo importante la difficilissima situazione economica libanese. Il governo di Teheran sta spingendo moltissimo per chiudere l’accordo nucleare con gli Usa. L’Iran sta anche dimostrando di offrire un contributo, seppur tragico, in Ucraina con i suoi droni venduti alla Russia. Dal punto di vista internazionale si muovono su più fronti con scaltrezza, e questo è un dato di fatto oggettivo.
Sul fronte interno invece?>
C’è da capire se la piazza avrà la forza di buttar giù un regime come quello iraniano. Un regime che non è basato su un solo dittatore, ma è ben distribuito su più livelli. Non si tratta di un Gheddafi o di un Mubarak, per capirsi. Per certi versi è quindi più difficile da ribaltare. Le rivoluzioni si fanno ovunque, però hanno bisogno di regimi corrotti e in caduta. Dalla Rivoluzione francese in poi è sempre stato così.
Quello iraniano è un regime ancora integro?
Almeno apparentemente non sembrerebbe essere un regime che vacilla al suo interno. Se poi la forza della piazza dovesse diventare davvero massiccia ed estesa, potrebbe anche cadere, però il regime, anche per i motivi che ricordavo prima, non è un regime fatto solo da corrotti e sanguinari, è un regime che probabilmente mantiene ancora un appeal su una fetta della popolazione. Non posso escludere che la piazza vinca, ma credo sia una impresa molto difficile.
In poco più di un mese già 200 morti: quanto il regime si può spingere avanti con la repressione violenta? E se con la fine delle sanzioni l’economia tornasse a dare un livello di vita dignitoso alla popolazione, piccole concessioni potrebbero chiudere il caso? Sappiamo che un popolo, quando ha la pancia piena, non protesta.
La domanda a questo punto è: gli Stati Uniti avranno la forza di chiudere un accordo con un regime che uccide i suoi cittadini? Biden potrà essere così cinico oppure vorrà aspettare? Non è così evidente che l’accordo sul nucleare, e quindi la fine delle sanzioni, possa chiudersi.
Tra l’altro proprio in questi giorni la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha chiesto sanzioni mirate agli autori di violenze, il che starebbe a significare nuove sanzioni…
Infatti, chi sanzionano, il poliziotto che usa il manganello? Sono dichiarazioni che fanno parte del mondo dei politici. Il tema vero è: avrà il regime la lungimiranza per usare un pugno di ferro in un guanto di velluto oppure si andrà avanti in maniera cieca? Senza dimenticare un altro problema.
Quale?
Il nodo della successione di Khamenei, perché non è molto chiaro, viste le sue condizioni di salute non buone, quanto potrà restare in carica. Già prima di queste rivolte sapevamo che non aveva un gran futuro. Nessuno sa chi possa succedergli e come vorrà gestire il problema. Alla fine, a mio avviso, temo che la piazza non ce la faccia, però molto dipenderà dal modo in cui questo regime avrà la lucidità per giocarsi la partita.
Un quadro ancora molto incerto e aperto?
Oggi siamo tutti dalla parte dei manifestanti, ma poi sono loro che devono combattere contro chi usa fucili e pistole.
(Paolo Vites)
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