Avevano annunciato dimostrazioni e mobilitazioni in 53 stazioni italiane, ma alla fine la giornata di protesta dei No vax contro l’obbligo del Green pass per scuole, treni, aerei e bus di lunga percorrenza è trascorsa senza eccessive fibrillazioni: molti controlli, con le stazioni delle grandi città presidiate dalle forze dell’ordine, e pochi manifestanti. A Torino due professori senza certificato vaccinale, respinti dal preside, hanno presentato denuncia ai carabinieri.



Ma l’onda – a volte carsica, a volte impetuosa – dei contrari alla vaccinazione non si ferma e mette a rischio il traguardo dell’immunità di gregge, visto che mancano ancora all’appello 15 milioni di italiani. C’è chi si spinge a chiedere l’obbligo di vaccinazione, chi chiede che i No vax paghino le spese per le cure in caso di ricovero in terapia intensiva. Ma il muro contro muro serve a poco. Come allora convincerli? Perché vaccinazione e green pass sono così indispensabili? Che rassicurazioni offre la scienza oggi? Lo abbiamo chiesto a Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.



Vaccini e Green pass: è questo l’unico mix che funziona davvero in questo momento come argine all’epidemia?

Sì, purtroppo non abbiamo altre contromisure disponibili: al di là di anticorpi monoclonali che possono agire nella prima fase della malattia e in attesa di disporre di farmaci veramente efficaci, il vaccino è l’unica arma.

E il certificato vaccinale?

Il green pass è la copia che attesta la vaccinazione. A mio avviso è un po’ danneggiato dal fatto che si equipari il tampone al vaccino, ma il tampone non è l’equivalente del vaccino, perché fotografa semplicemente un momento in cui il soggetto non è portatore di virus, ma un’ora dopo potrebbe esserlo. Io toglierei il tampone, che sarebbe un incentivo in più a farsi vaccinare.



Giusto introdurre l’obbligo del green pass nei servizi pubblici, dalle scuole ai trasporti?

Certamente, perché in questo modo si cerca di convincere chi non si vuole vaccinare dell’utilità dell’immunizzazione per potersi muovere in mezzo agli altri. La mia libertà finisce quando ledo quella degli altri.

Oltre a coloro che non possono essere immunizzati per ragioni mediche, tra i No vax ci sono quelli ideologicamente contrari e quelli che nutrono dubbi e perplessità sull’efficacia dei vaccini. Come convincerli? Che rassicurazioni offre oggi la scienza?

È difficile interloquire con chi nutre pregiudizi ideologici verso i vaccini. Premesso che la stragrande maggioranza delle persone oggi ricoverate sono non vaccinate, bisognerebbe forse far ascoltare ai No vax la voce di coloro che, essendo contrari, hanno avuto la malattia e sono stati in terapia intensiva, e poi hanno ammesso: mi sono sbagliato a pensare che il vaccino non fosse utile, perché in un letto di rianimazione si soffre molto, quindi non sbagliate anche voi. Aggiungerei poi che il vaccino Pfizer è uscito dall’emergenza della sperimentazione sul campo per gli over 16. Non bisogna dare ascolto a molte informazioni false, fornite senza alcuna base scientifica e senza alcun possibile reperimento di prove che quello che viene affermato sia vero. Bisogna continuare a spiegare, non solo fare annunci, perché i dubbi di molti dipendono anche da una cattiva informazione, soprattutto nei primi tempi della comparsa dei vaccini.

Che cosa dicono i dati della farmacovigilanza su sicurezza ed efficacia dei vaccini? Aiutano a dissipare le paure?

Sebbene la raccolta non sia stata condotta in modo sistematico e omogeneo, attraverso un modulo uguale in tutto il paese, in generale i dati di farmacovigilanza confermano che i vaccini sono ben tollerati, perché gli effetti gravi insorgono in un caso ogni 100-200mila dosi, soglia molto lontana da quella di quasi tutti i farmaci, che presentano effetti collaterali anche in un caso su 100. L’aspirina, per esempio, può dar luogo a emorragie gastrointestinali, e l’aspirina viene assunta senza alcun problema.

Molti si sottraggono alla vaccinazione anche in base al siero che viene loro proposto. Ci sono reali differenze?

È difficile fare paragoni, dal punto di vista scientifico, fra i diversi vaccini, perché sono stati somministrati in misura molto diversa, per esempio moltissimo Pfizer e pochissimo Johnson&Johnson.

Lei è favorevole all’introduzione dell’obbligo vaccinale?

La considero da tempo l’ultima spiaggia e va contemplata solo dopo aver fatto tutto il possibile per evitare appunto l’obbligatorietà. Ma devo ammettere che ci sono molte cose che abbiamo sbagliato nella comunicazione.

Per esempio?

Si potevano legare le aperture delle diverse attività in base alle progressive soglie di immunità raggiunta: questo avrebbe reso più partecipi le persone alla campagna vaccinale e al graduale ritorno alla normalità.

Torno ai No vax, che dicono: visto che stiamo raggiungendo l’immunità di gregge, lasciate a noi la libertà di non farci vaccinare. Che cosa risponde?

È un errore concettuale, perché con la presenza delle varianti non sappiamo qual è la percentuale dell’immunità di gregge. Per il morbillo, ad esempio, è superiore al 95%. Ricordiamoci che finora abbiamo vaccinato 38 milioni di persone, di cui il 10% non ha risposto bene all’immunizzazione. Quindi abbiamo ancora 26 milioni di italiani da vaccinare: siamo ben lontani dall’idea dell’immunità di gregge.

Un’ultima obiezione: nell’immediato il vaccino è efficace e sicuro, ma nel lungo periodo che effetti collaterali tossici rischio di avere? Su questo cosa ci dice la scienza?

Sull’insorgenza degli effetti tossici tra 20 anni non sappiamo granché neppure per la grande maggioranza dei farmaci che assumiamo ogni giorno.

È necessaria una terza dose?

Deve essere una soluzione razionale basata su dati ed evidenze scientifiche. Negli Stati Uniti, il Nih ha lanciato uno studio per monitorare gli effetti della terza dose, in termini di efficacia e di tossicità. Penso comunque che sia legittimo e necessario cominciare a somministrare una terza dose a chi sappiamo che ha risposto poco bene alla vaccinazione: i pazienti sottoposti a trapianto d’organo e i pazienti oncologici che vengono trattati con farmaci immunodepressivi e quindi non danno risposte immunitarie adeguate.

(Marco Biscella) 

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