“Una disciplina giuridica, amministrativa e fiscale su misura come in Francia, creazione di istituzioni finanziarie ad hoc e taglio robusto della burocrazia. Bastano investimenti mirati, cifre umili, per rilanciare il comparto della nautica. Gli imprenditori sono pronti a fare la loro parte, ma non possono essere caricati di tutto. Sfruttiamo allora questo periodo difficile del Covid per sperimentare nuove soluzioni, per generare una domanda interna e per attirare gli operatori esteri”. Andrea Guarascio, direttore commerciale prodotti di Prua al Vento, società di Lamezia Terme che commercializza ogni anno un centinaio tra imbarcazioni e gommoni di “qualità originale, assoluta e tangibile”, l’80% dei quali venduti all’estero, dal Nord Europa alla sponda sud del Mediterraneo, è convinto che la nautica possa dare un contributo notevole alla crescita del Pil, a patto che – come avviene oltralpe – “il settore non sia penalizzato e i suoi prodotti non vengano più considerati come beni di lusso, bensì alla stregua di beni mobili. In Italia manca una legge ad hoc per l’intero comparto medio piccolo”. E aggiunge: “Siamo troppo ingessati dalla burocrazia, bisogna tornare a sognare e realizzare, che sono le peculiarità di noi italiani”.
Perché lei considera la nautica un driver per la ripresa del Pil?
La nautica innesca un notevole indotto, è una delle filiere più importanti. Basti pensare che per una sola unità di prodotto, barca o gommone, si innescano sei attività secondarie, dal trasporto ai servizi alla manutenzione. Nella costruzione, poi, in base alla complessità del modello, sono coinvolti tantissimi fornitori di vario genere.
Che cosa potrebbe accendere questa miccia?
Una maggiore attenzione a tutto il comparto, con la creazione di misure specifiche sia a livello governativo che di politiche industriali.
Che cosa servirebbe per favorirne tutte le potenzialità?
Servirebbe una disciplina giuridica, amministrativa, finanziaria e fiscale in grado di sostenere un settore la cui ossatura è costituita in larghissima misura da piccole e medie imprese, che ancora oggi viene visto come di lusso, aleatorio e volubile. Ma non lo è.
Perché?
Perché la nautica va considerata un bene mobile, come in Francia, dove non a caso l’Iva non è più bassa del 22%, esistono le banche per la nautica, incentivi per le imprese di noleggio e servizi, pratiche amministrative per l’acquisto semplici e veloci e non c’è lo stesso livello di svalutazione dei prodotti come da noi.
E dal punto di vista finanziario?
In Italia, rispetto ai paesi d’oltralpe, siamo indietro di almeno 20 anni. Non abbiamo, per esempio, per i fornitori e i grossisti la possibilità di accedere a fondi rotativi per finanziare direttamente l’acquisto dei prodotti, poche strutture portuali eccetera.
Che cosa significa realizzare prodotti di qualità nel vostro settore?
Significa investire moltissimo nella Ricerca & Sviluppo, sforzandosi di realizzare qualcosa che non c’è sul mercato, con la massima attenzione ai dettagli, alla scelta dei materiali, alla ricerca strutturale. Noi abbiamo studiato un sistema molto efficiente e sostenibile: anziché ricorrere a strutture in legno, materiale molto rigido, noi utilizziamo strutture di espanso alveolare o in fibra di vetro, perché garantiscono alla carena un altissimo grado di elasticità e resistenza e una riduzione di peso, pertanto minor consumo di carburante. Infine, i nostri prodotti sono laminati ancora a mano, senza l’ausilio di macchine, con un processo di artigianato di alta qualità, che rappresenta il nostro valore aggiunto.
Quanto conta per voi l’internazionalizzazione?
Tantissimo, perché dall’export dipende l’80% del nostro fatturato.
I cantieri nautici in Calabria hanno fatto rete. Associarsi è importante?
Sì, perché ci si scambiano informazioni e idee, si fa rete, ma tutto ciò si vanifica se manca la disciplina ad hoc di cui parlavo prima.
Come si può sviluppare il settore nautico in Calabria?
Il settore è già sviluppato, ma per poter creare maggiori posti di lavoro bisognerebbe investire nelle strutture portuali: in Calabria ce ne vorrebbero di più. Anche perché la nautica fa da traino al turismo di qualità. Ma servono servizi di supporto e una robusta deburocratizzazione. In Italia abbiamo una domanda bassa in questo momento: chi acquista una barca viene colpevolizzato, mentre andrebbe applaudito. Perciò occorre rilanciare la domanda, attirare gli operatori esteri e colmare quel vuoto normativo di 15 anni che ci fa trovare nel pantano, con il rischio all’orizzonte che tante Pmi del settore possano finire in mani straniere.
Quanto è difficile fare oggi impresa ai tempi del Covid?
Pesano soprattutto i problemi logistici, che sono diventati catastrofici, perché i componenti, soprattutto dall’estero o dal Nord Italia, arrivano in ritardo anche di 15-20 giorni e tutti i centri di smistamento lavorano, proprio a causa del Covid, a scartamento ridotto. E tutto questo fa slittare vendite e consegne dei prodotti.
Il marchio Prua al Vento è all’avanguardia nella progettazione e realizzazione di gommoni e imbarcazioni. Quali sono i vostri prodotti di punta?
Siamo riconosciuti in Italia e in Europa per l’altissima qualità dei nostri prodotti, che si posizionano nella fascia alta e spiccano per il loro elevato contenuto innovativo. È il caso, per esempio, del Thor 8.0 o dell’Huracan 98 wa, le cui carene sono state studiate e progettate con il contributo del mondo scientifico.
Quali sono i vostri obiettivi per il 2021?
Entrare nel segmento, nuovo per la nautica, della sostenibilità. A marzo lanceremo Elektra, una nuova imbarcazione totalmente green, elettrica, a emissioni zero. Sarà il primo cabinato di 10 metri dotato di due motori elettrici. Una barca che si rivolge a una nicchia di persone che amano la natura e che guarda soprattutto al mercato del Nord Europa.
(Marco Biscella)