Come ci ripetono ormai da mesi gli esperti, il covid ha provocato migliaia di morti e indirettamente ha creato una serie di disturbi psichici anche fra i più giovani e i giovanissimi. Lo ha confermato anche Claudio Mencacci, medico psichiatra, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e Past President della Società Italiana di Psichiatria, sottolineando quanto la fascia di popolazione più giovane sia stata colpita non tanto direttamente dal covid, quanto dall’assenza di socialità dovuta alle numerose restrizioni in atto, in primis, la chiusura delle scuole e il passaggio dalla Dad, la Didattica a distanza.



“A causa della pandemia – racconta Mencanni ai microfoni del quotidiano Huffington Post – sempre più giovani si stanno avvicinando agli psicofarmaci (qui un servizio recente de Le Iene a riguardo, ndr). Quest’ultimi non vanno demonizzati perché in alcuni casi sono necessari. Il problema è l’incompetenza, il fai-da-te, il passaparola, quell’amico o quel fratello maggiore che dice all’adolescente: ‘Se hai l’ansia, prendi qualche goccina di Lexotan o di Xanax’”. Situazioni ovviamente pericolose, che possono provocare “dei problemi”, specifica Mencacci.



PSICOFARMACI NEI GIOVANISSIMI: “NON VANNO DEMONIZZATI MA…”

A lanciare l’allarme era stato negli scorsi giorni il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi (“l’aumento dell’uso di psicofarmaci tra i giovanissimi è stato certamente forte in questo anno di Covid”): “L’anno che ci siamo lasciati alle spalle – ha aggiunto ancora Claudio Mencacci – è stato un anno nero per la salute mentale, in particolare dei più giovani, i quali sono risultati essere anche i più fragili. Ma gli effetti veri, le vere conseguenze a lungo termine, le vedremo solo col passare del tempo”. Stando al professore la pandemia ha provocato in molti giovani “condizioni di allerta e forte spavento”, e di conseguenza tale situazione può aver indotto gli stessi ad un uso improprio di psicofarmaci, “senza avere una diagnosi”. Per Mencacci gli psicofarmaci non vanno “demonizzati ne idealizzati”, ma prescritti al bisogno e utilizzati in maniera corretta. “Il problema nasce – aggiunge – quando la condizione del paziente non è oggetto di valutazione specialistica e quando chi li prende non è seguito”. Il Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia fa quindi un esempio per chiarire meglio: “E’ possibile che un giovane viva un attacco di panico tale da condurlo in ospedale. Al pronto soccorso gli viene somministrata una bassa dose di ansiolitici e viene rispedito a casa. Ma da lì in poi bisogna intervenire: è necessario che qualcuno faccia una valutazione diagnostica e prospetti una serie di opportunità di cure. Il rischio altrimenti è che il giovane ricorra a metodi fai-da-te e cerchi di risolvere il problema da solo, con comportamenti non idonei”.

Leggi anche

SPILLO/ Quegli strani allarmi sulla salute mentale dell'Occidente