Mettere in scena il Trittico di Giacomo Puccini è un’operazione che fa tremare sovrintendi e direttori artistici: tre distinte opere ciascuna in un atto, ben quarantaquattro personaggi spesso cantati e recitati da una trentina di artisti. Specialmente a Firenze, dove tra i meno giovani è ancora vivo il ricordo di una splendida edizione nel 1988 con Bruno Bartoletti sul podio e la regia delle tre opere affidata rispettivamente a Ermanno Olmi (Il Tabarro), Franco Piavoli (Suor Angelica) e Mario Monicelli (Gianni Schicchi)
Questo nuovo allestimento è arrivato, per così dire, in stadi. E’ un’idea di Cristiano Chiarot a cui si deve il rilancio della Fondazione lirica fiorentino, tenendo sempre d’occhio i bilanci. La regia, le scene, i costumi e le luci, sono state affidati a Denis Krief con un budget molto limitato ed il lavoro è in coproduzione con il Teatro Lirico di Cagliari (dove SuorAngelica si è vista ed ascoltata poco più di un anno fa) e con il Teatro del Giglio di Lucca (dove qualche mese fa si sono viste Suor Angelica e Gianni Schicchi). A Firenze, dove lo ho visto ed ascoltato il 17 novembre, il Trittico è completato con la sua prima opera Il Tabarro. In alcuni teatri si vedrà o completo o unicamente in due opere: ad esempio, il Teatro Alighieri di Ravenna ha in cartellone Suor Angelica e Gianni Schicchi.
Krief trova un’intelligente, ed economica, soluzione scenica: un impianto unico che, ne Il Tabarro, diventa una chiatta nei canali di Parigi grazie alla gigantografia di una cartolina dell’epoca, in Suor Angelica si restringe per dare l’atmosfera di un convento con una grata che indica la clausura e in Gianni Schicci diventa una grande casa dalle cui finestre si vedono squarci di Firenze in color gravure. I costumi sono vagamente contemporanei. Molto accurata la recitazione. In breve, uno spettacolo che si può adattare bene a vari palcoscenici, oltre che comporre e ricomporre in vari modi.
Prima di parlare della parte musicale, è utile ricordare che Puccini pensava a tre opere in un atto – sottolinea Alberto Cantù in L’universo di Puccini: da Le Villi a Turandot (Zecchini Editore, (250 pagine, € 20) sin dopo il successo di Tosca. Allora gli atti unici avevano una certa presa sul pubblico specialmente se collegati da un fil rouge. Puccini pensò addirittura a un trittico dantesco su Inferno, Purgatorio e Paradiso. Sappiamo che alla fine il prodotto fu un atto granguignolesco in un ambiente proletario (Il Tabarro), una tragedia (Suor Angelica) in un quadro aristocratico e una conclusione comica ma noir (Gianni Schicchi) in un contesto borghese. In effetti, nella messa in scena di Krief, il filo conduttore è la morte: vista come “pace” (una delle ultime battute de Il Tabarro) dopo una vita difficile e cruenta, come “luce” in Suor Angelica e in Gianni Schicchi come destino di un’umanità colma di cattiveria e che la mostra tutta in una camera mortuaria dove intriga ed imbroglia.
E’ utile ricordare che Il Trittico venne composto durante la prima guerra mondiale. A casa Puccini il conflitto mondiale si intercalava con quello famigliare. Il compositore, con il supporto principalmente di Giovacchino Forzano (scrittore, poeta, drammaturgo, regista anche cinematografico ed autore dei libretti di Suor Angelica e di Gianni Schicchi ) e di Tito Ricordi (nella cui scuderia era tornato) aveva completato Il Trittico a cui lavorava dal 1913 proprio poche settimane prima di Caporetto e dell’epidemia di febbre gialla. Il figlio Tonio, militare di leva, tornato a casa, tentò il suicidio (anche per questioni sentimentali). Sua sorella Tomaide morì per l’epidemia. Sua moglie Elvira intercettò la lettera del console svizzero che, data la situazione, gli ritirava il visto di accesso a Lugano dove andava periodicamente (e frequentemente) dalla propria amante dell’epoca Sybil Seligman; la tresca, quindi, era svelata all’irritatissima Elvira. Anche per queste determinanti, ha ragione Krief nel prendere varie declinazioni della morte come tema dominante di tre atti unici che possono apparire profondamente diversi l’uno dall’altro.
Con l’Italia nel caos, era difficile trovare un teatro per mettere in scena Il Trittico, in effetti tre opere distinte la cui produzione richiede, come si è detto circa trenta solisti e un organico orchestrale mahleriano. Il programma era di produrre la prima mondiale al Teatro Reale dell’Opera di Roma, ma il debutto ebbe luogo il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York (senza la presenza di Puccini – i mari non erano sicuri a ragione delle mine lasciate dai tedeschi) con buon successo. Seguì una trionfale prima italiana a Roma l’11 gennaio 1919, una londinese il 18 giugno 1920 (alla presenza di Re Giorgio), una viennese nell’ottobre 1920 ed una riprese a Bologna nel 1921. Ogni volta Puccini ritoccò la partitura che ebbe il suo assetto definitivo alla prima alla Scala il 29 gennaio 1922, dove venne introdotta, in Suor Angelica, “l’aria dei fiori”, sperimentazione armonica audace, atonale ed al confine quasi con la dodecafonia.
Questi dettagli possono sembrare banali ma sono utili a comprendere sia la scarna ma efficacissima messa in scena di Krief sia le scelte musicali di Valerio Galli alla guida di quel magnifico complesso che è l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. La prima scelta riguarda Il Tabarro, di solito orchestrata e cantata come un’opera verista, quasi un tardivo epigono di Cavalleria e Pagliacci. In questa produzione, invece, ne viene estratto tutto il suo contenuto espressionista dalle dissonanze al declamato cantato al contrappunto da madrigale dei primi decenni del Novecento. Si scopre il vero Puccini legato culturalmente alla musica tedesca – musicalmente cugino di Schekrer, zio di Korngold e di Zemlisky. Lontano mille miglia dal “verismo” italiano. Anche in Suor Angelica la direzione musicale esalta non solo la dodecafonia nel “aria dei fiori” ma anche il ritorno alla polifonia su cui lavorava in quegli anni il giovane Malipiero. Ed in Gianni Schicchi il ritmo è graffiante più che comico.
Troppo numerosi gli interpreti per ricordarli tutti. Primeggiano Maria José Siri (in Il Tabarro e Suor Angelica), Anna Maria Chiuri (in tutte e tre le opere), Franco Vassallo (in Il Tabarro), Bruno de Simone (in Gianni Schicchi) e Angelo Villari (ne Il Tabarro). Numerosi i giovani, provenienti dall’Accademia del Maggio Fiorentino: Ottima la Lauretta di Francesca Longari in Gianni Schicchi. Dave Monaco è un ottimo “venditore di canzonette” ne Il Tabarro; nel ruolo di Rinuccio in Gianni Schicchi ha la voce ben impostata e recita bene, ma il 17 novembre aveva un volume troppo piccolo.