Pupi Avati ha presentato il suo film “Dante” ai lettori del quotidiano “La Verità”. Un’opera imperniata su uno dei padri della nostra lingua, ma anche sulla sfera della sacralità, tanto che il regista ha ammesso di avere sempre considerato la Commedia un libro sacro che racconta il cammino di un essere umano che cerca Dio, malgrado tutto vi si opponga. Anche la Chiesa stessa, quella dei papi Bonifacio VIII e Giovanni XXII. Dante trova Dio alla fine di vent’anni di accattonaggio, di ospitalità, di un’infinità di debiti lasciati a Firenze, con una condanna a morte che pende su di sé e sui suoi figli.
Sono serviti 18 anni a Pupi Avati per realizzare questo film perché “ancora oggi, come dice Giovanni Boccaccio della Firenze dell’epoca, c’è chi vorrebbe veder bruciate le sue ossa. Credo che Dante non sia così amato; nei suoi riguardi si vive un senso d’inadeguatezza, trasmesso anche dalla scuola. Con il mio film ho voluto superare questa distanza, facendolo scendere dal piedistallo. Non sono convinto che tutte le manifestazioni del 2021 per i 700 anni dalla morte ce lo abbiano avvicinato”.
PUPI AVATI: “HO AMMIRAZIONE PER I POETI, LA MIA OPERA SU DANTE PARLA DELLA PIÙ GRANDE STORIA D’AMORE DELLA LETTERATURA”
Il film “Dante” di Pupi Avati, ha chiarito il regista, è “una cartina di tornasole per vedere se c’è un pubblico per un film culturalmente ambizioso eppure accessibilissimo, distante dalle accademie e dalle sbrodolature della fiction. È un film il più sintetico e il più emozionante possibile sulla prima e più grande storia d’amore della letteratura”. Avati ha ammesso di avere grande ammirazione per i poeti, anche per quelli del presente, i quali si esprimono per urgenza personale: chi scrive “non lo fa confidando di trasformare la sua proposta in un bestseller o per andare ai talk show o sui red carpet”.
“Dante” avrebbe potuto essere scelto per rappresentare l’Italia nella corsa agli Oscar, ma così non è stato. Pupi Avati ha riferito: “Pensavo potesse avvantaggiarsi del fatto che è imperniato sull’italiano più noto nel mondo. Invece, nel rispetto delle scelte della commissione, prendo atto che il mio pensiero non è condiviso”. Il punto, secondo il regista, è che “il cinema italiano è incentrato nella contemporaneità e riflette poco sulla nostra storia. Sia al cinema che nella serialità si esaltano personaggi irrisolti quando non compiaciutamente negativi e contesti nei quali domina il male”.