Il celebre regista e sceneggiatore Pupi Avati si è raccontato in una lunga intervista per il Corriere della Sera, nella quale ha ripercorso la sua vita, la guerra e, soprattutto, la sua carriera. Il primo ricordo che ha, racconta, sono “i litigi tra mamma e papà. Erano molto diversi. Lui era un uomo bello, spiritoso, colto, che aveva sposato la sua dattilografa”, che veniva da un contesto “contadino e socialista”, mentre il padre “era borghese e monarchico”.
Pupi Avati, però, ricorda anche come “mio padre morì in macchina a Santarcangelo di Romagna nella stessa curva, nello stesso giorno, alla stessa ora in cui era stato assassinato il padre di Pascoli”. Fu, così, mantenuto esclusivamente dalla madre che compì un vero e proprio “miracolo”, i quali secondo lui “possono accadere” se ci credi. Sulla madre, però, ci tiene anche a sottolineare come “non ho mai accettato la sua morte. Facevo le prove”, racconta Pupi Avati, “passato sotto la sua finestra quando sapevo che non era in casa, ma non è servito a nulla”.
Della guerra e del fascismo, invece, il regista ricorda l’atrocità, “la sopraffazione, la paura. Tutti temevano tutti”, mentre l’Italia del dopoguerra fu “impresentabile ma felice”. Votò inizialmente la Dc, ma poi “mi sono innamorato di Berlusconi. Quando stavi con lui, ti faceva sentire la persona più importante del mondo”. Ma poi il rapporto tra Pupi Avati e Berlusconi si ruppe quando lui cambiò e ricorda, come emblematico, quando “una sera sulla terrazza di Laura Betti erano tutti comunisti. Quando dissi che ero democristiano, incrociai lo sguardo di Moravia, carico di disprezzo“.
Pupi Avati: “Paolo Villaggio? Era cattivo e inaffidabile”
Andando avanti nella sua intervista, Pupi Avati non può che dedicare una parentesi anche alla sua carriera, iniziata quando vide “8 e mezzo di Fellini“. Annunciò alla madre la volontà di diventare regista e “lei andò in cartoleria, comprò un grande quaderno e ci scrisse sopra: i film di Pupi”. Gli esordi, però, “furono un disastro. Eravamo in cinque: io, un antennista, un fruttivendolo, un amministratore di condomini, un custode del museo. Dilapidammo oltre duecento milioni“.
Pupi Avati ricorda, però, anche come volle diventare musicista jazz, fino a quando “entrò Lucio Dalla nel gruppo e smisi”, ma su di lui ci tiene a sottolineare che non voleva veramente ucciderlo, “me lo sono inventato”. Poi, il successo nel 1975 con un film che, racconta, propose “a Paolo Villaggio, che accettò” nella diffidenza del suo produttore. Di Villaggio, infatti, che “era cattivo e inaffidabile, ma di un’intelligenza superiore”. Pupi Avati conobbe anche Maurizio Costanzo ai suoi erodi, che ricorda come “un talento straordinario”, oltre a Pasolini, “solare, allegro, leggero”. Similmente, De Sica “era un bambino, più che recitare cantava”, mentre Fellini “parlava solo di soldi, di tutti quelli che l’avevano imbrogliato”.