Tra passato, presente e futuro, Pupi Avati a 360° nella lunga intervista rilasciata ai microfoni de Il Fatto Quotidiano. Il celebre regista bolognese ha ripercorso i suoi inizi nel mondo del cinema, a partire dai due iniziali insuccessi, fino alla svolta arrivata grazie a Ugo Tognazzi: «Intervenne nella mia vita con modalità miracolistiche; credo ai miracoli, quindi si avverano, chi non crede è evidente che non li merita».
Pupi Avati ha rivelato che Tognazzi gli fece una confidenza molto personale, relativa alla sfera sentiment-sessuale, episodio che avrebbe potuto raccontare solo ad un amico: «Dopo aver terminato questa confessione capii che si aspettava lo stesso da me, cercava una dichiarazione di debolezza». Il cineasta 82enne ha poi parlato di Stefano Accorsi e anche a lui è legato un retroscena: «Perché lo presi? Era simpaticissimo, con una grande carica, e poi la sua fidanzata del tempo mi ha pressato in maniera mortale […] cercò ogni chiave seduttiva, fino a dirmi che avrei dato una chance a un ragazzo che altrimenti si sarebbe suicidato».
Pupi Avati: “Avrei potuto impegnarmi di più”
«Avrei potuto impegnarmi di più, ho la sensazione di non aver ancora girato il film della mia vita, ed è qui che trovo la forza per continuare», ha spiegato Pupi Avati nel corso della sua lunga intervista, per poi rivelare un curioso aneddoto su Mario Monicelli: «Abitava sopra di me e l’ultima volta che l’ho incontrato è stato per caso mentre usciva da una farmacia con uno spazzolino da denti in mano. Lo fermo, e senza salutarlo esordisco: “Scusa Mario, quanti ne hai girati?” E lui, prontissimo: “65”. “Non ti raggiungerò mai”. A quel punto ho visto una luce di gioia nei suoi occhi da anziano». Pupi Avati ha poi parlato dei “circoli” e delle riunioni tra volti di spicco del cinema, sottolineando di essersi sempre tenuto fuori per non spersonalizzarsi. E mai avuta una appartenenza politica ad alcuno schieramento, «se non a un mondo cristiano».
Pupi Avati: “Haber come Tognazzi”
Pupi Avati è poi tornato a parlare degli attori della sua carriera, sottolineando che i grandi artisti con i quali ha lavorato sono persone profondamente timide. A tal proposito, il suo preferito è Alessandro Haber, il più bravo, che va a coprire la timidezza con una finta arroganza: «Ne Il signor Diavolo ha combinato qualcosa di sbagliato, e l’ho redarguito davanti alla troupe. Il suo sguardo mortificato raccontava un’altra realtà, ed è la sua bellezza: con lui è tutto finto quel che appare. E sul set porta la verità». E Pupi Avati ha poi tirato fuori un paragone decisamente importante: «Se uno ha degli attori non in grado di offrire il meglio di se stessi, basta inserire Alessandro e tutto diventa vero. Anche Tognazzi era così: entrava in una scena ed era come un coro di montagna, che permetteva agli altri di intonarsi insieme a lui».